Görlitz si trova in quella zona depressa della ex Germania Est dove la nostalgia per la pace e l’antimilitarismo va a braccetto con una nota, diciamo, simpatia per la Russia. Dimostrazione lampante alle ultime elezioni: quasi la metà dell’elettorato ha preferito votare per la destra radicale di Alternative für Deutschland (AfD), partito non solo filorusso, ma anche scettico nel sostenere l’Ucraina.
Sebastian Wippel, capogruppo dell’AfD nel consiglio comunale di Görlitz, ha definito la vendita della fabbrica come “nulla di cui gioire” in un post recente. Ma, giuro, ha anche avuto il coraggio di ammettere che mantenere posti di lavoro in fabbrica è fondamentale — e che ridurre la dipendenza della Germania da produttori stranieri di armi è imprescindibile.
Sebastian Wippel, che ricopre anche il ruolo di vicesegretario del partito nel parlamento della Sassonia, ha detto:
“Questo significa che la produzione di armi deve avvenire anche in Germania. Se ora questa produzione deve avvenire qui, per questo motivo, non posso davvero contrariarmi.”
Heiko Nitschke, ingegnere della vecchia fabbrica Alstom, seduto un pomeriggio nel parcheggio di un supermercato di fronte allo stabilimento, ha sottolineato con sarcasmo che:
“Sono rimaste poche grandi aziende che paghino a livello sindacale, e sarebbe una catastrofe se anche questa chiudesse.”
L’azienda militare che ha acquisito la fabbrica, la KNDS, ha annunciato di voler impiegare almeno metà dei 700 addetti di quello che era il vecchio stabilimento, gran parte saldatori esperti. Non ha voluto rilasciare commenti ma ha promesso investimenti di oltre 10 milioni di dollari (euro, si spera).
L’intervento sindacale ha richiamato l’attenzione di politici regionali e federali, che hanno fatto a gara per trovare un acquirente disposto a non far cadere nel baratro l’indotto industriale del territorio. Quel territorio in cui la riconversione industriale, a partire dalla caduta del muro, è stata una nave alla deriva.
La zona di Görlitz, nel bacino un tempo minerario lungo il fiume Neisse che divide la Germania dalla Polonia, ha sofferto non poco il dopo riunificazione. Le industrie sono crollate, i giovani sono fuggiti e le ferite economiche si sono fatte profonde.
In molti sostengono che proprio lo scontento, il senso di essere stati abbandonati dalla politica e la paura del futuro abbiano fatto il gioco dell’AfD, oggi il partito più forte alle elezioni locali e regionali.
Alexander Schulz, 43 anni, operaio in un impianto Birkenstock — il più grande datore di lavoro della città — confessa la sua insofferenza verso la nuova produzione bellica, ma capisce «le preoccupazioni più ampie» che hanno reso tutto ciò inevitabile.
Con un sorso di birra dopo il turno, racconta:
“La maggioranza della gente in città non trova questa cosa affatto cool. C’è paura, soprattutto di diventare un bersaglio se la guerra arrivasse davvero in Germania. Ma, soprattutto, la gente ha paura per il lavoro, il denaro, se riuscirà a pagare i prestiti, a tenersi la casa.”
Don’t ask for optimism, but welcome to Görlitz: dove i carri rossi della ferrovia lasciano il posto ai blindati e la pace si fa armi e contraddizioni. Come a dire, se devi cadere, almeno che sia in grande stile.



