Lucia Borsellino riscopre l’Asinara dopo quattro decenni di assenza: come se il tempo avesse aspettato lei

Lucia Borsellino riscopre l’Asinara dopo quattro decenni di assenza: come se il tempo avesse aspettato lei

Non c’è niente di piĂą commovente che riscoprire il valore di un luogo dopo quarant’anni, soprattutto quando quel luogo ha visto nascere il teatro di una delle battaglie piĂą epiche e tragiche contro la mafia. Lucia Borsellino, con gli occhi lucidi e il cuore in mano, si concede un tuffo nel passato dall’alto del terrazzo dell’Asinara, quella che per un breve, ma intenso periodo è stata la prigione dorata di due giganti della giustizia: Paolo Borsellino e Giovanni Falcone.

Era l’agosto del 1985, quando in piena notte, per sicurezza piĂą che per piacere, i due magistrati furono spediti con le loro famiglie sull’isola sperduta della Sardegna. Un esilio che piĂą che un esilio sembrava un modo per isolarli dalle insidie palermitane, ma anche per concedere al mondo della criminalitĂ  una piccola tregua illusoria. L’antica colonia penale si trasformò nel laboratorio d’idee e strategie che avrebbero dato vita al famigerato Maxiprocesso, il processo che mise in ginocchio la mafia come mai prima d’ora.

Quel luogo, così distante dalle luci di Palermo, è stato la culla di una svolta storica italiana. Ma se per i due magistrati fu un sacrificio, per Lucia e il fratello Manfredi, allora adolescenti, quell’isola sarĂ  per sempre un ricordo indelebile, a metĂ  tra il dolore e la speranza.

Questa volta, Lucia non è sola. Invitata dall’Associazione Nazionale Magistrati sarda e palermitana, si ritrova immersa in un’atmosfera di memoria e celebrazione, potendo finalmente testimoniare e condividere l’ereditĂ  di quei giorni. Spiega così il suo lungo distacco emotivo:

“Per anni ho vissuto come fuori posto, come se una parte essenziale di me fosse rimasta prigioniera qui, in quell’isola e in quei ricordi. Oggi, dopo 40 anni, sento che ho sposato quella parte di me, finalmente riunita con il resto.”

Ironia della sorte, occorrono quattro decenni perché una ferita così profonda trovi una sua, seppur fragile, guarigione. E se in tanti hanno dimenticato o voluto dimenticare, Lucia ci ricorda, senza mezzi termini, che la verità – per quanto tardiva – alla fine trionfa. Perché, nel luogo che oggi accoglie turisti curiosi anziché prigionieri, è stata scoperta una targa in onore di quei magistrati e di Francesca Morvillo, moglie di Falcone, morta in uno degli attentati più feroci della storia d’Italia.

Osservare Manfredi Borsellino, arrivato con famiglia al seguito, e ascoltare le parole degli altri protagonisti – come Gianmaria Deriu, l’agente penitenziario di allora, o lo stesso Diego Cavaliero – ci fa capire che quella lontananza forzata non fu solo un capriccio della sicurezza ma un crocevia epocale. Un tempo in cui la magistratura si è fatta Stato sul serio, con tutta la fatica e i contrasti che questo comporta.

Asinara, il carcere trasformato in simbolo

L’isola, da colonia penale a museo della memoria nazionale, è oggi meta di visite che non celebrano solo la bellezza naturale incontaminata, ma soprattutto la determinazione di chi, lì dentro, ha scritto pagine indelebili nel libro della giustizia italiana. Icona della lotta antimafia, l’Asinara ha visto convivere dolore, speranze e strategie, in un microcosmo che sembrava isolato dal mondo ma che invece pulsava della voglia di cambiare il destino di un paese intero.

In effetti, se lo Stato decidesse veramente di proteggere i suoi figli quando vuole, forse non servirebbero quaranta anni per riconciliare un pezzo di anima con il proprio passato. Ma si sa, la giustizia, come la memoria, hanno tempi che sembrano sempre piĂą lunghi della pazienza dei vivi.

<pC’è questo bello spettacolo chiamato “riparazione”: no, non parliamo del rossetto sbavato o del bicchiere rotto dopo la festa, ma della riparazione in stile orientale, quella tecnica raffinata che usa l’oro e l’argento per riempire le crepe e trasformare le fratture in preziosi capolavori. Elegante, no? Almeno secondo Lucia Borsellino, che ha deciso di raccontarci la sua versione della “riparazione” emotiva di trent’anni di dolore e di lotta dopo le stragi mafiose.

PerchĂ©, a quanto pare, questi 30 anni sono stati un grande manuale di auto-riparazione—non solo degli oggetti, ma delle persone. Almeno per Lucia, il cui modo di vedere le cose è: “Forse non ci siamo sempre riusciti, ma abbiamo provato a essere persone migliori.” Che sia o meno vero, la fragilitĂ  umana appare come la grande protagonista, un dettaglio da cui non si scappa, specialmente se si è figli di eroi del calibro di Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e Francesca Morvillo. Provate a immaginare: passare piĂą di un mese all’Asinara – sì, proprio l’isola-prigione – non per vacanza, ma per conoscere quegli aspetti piĂą umani dei vostri genitori che il lavoro “eroico” non vi aveva permesso di vedere. Niente di piĂą normale, no?

Secondo Lucia, è stato tutto “straordinario”, eppure gigantesco nel suo paradosso. Non entrerà troppo nei dettagli, perché a quanto pare il mondo ne ha già scritto fin troppo, tra carta stampata, cinema e teatro. Però ci fa notare un dettaglio di fondamentale importanza: nell’agosto del 1985, quando si decise il trasferimento a causa di una minaccia palese e concreta sulla vita di suo padre e di Giovanni Falcone, lo Stato dimostrò che, se vuole, sa proteggere i suoi figli. Come? Ordinando ai colleghi più fidati di lasciare le proprie case. Un’azione per nulla teatrale, immagino.

Naturalmente, sette anni dopo, con la stessa “ironia” della vita, quella capacità di salvaguardia misteriosamente svanì. Arrivò la “notizia annunciata” dell’azione stragista che avrebbe colpito anche Paolo Borsellino. E qui sentite questa: malgrado la disponibilità incondizionata di Paolo, recipiente di un coraggio disarmante, lo Stato non fu capace di proteggerlo, anzi, lo lasciò al suo destino con una riservatezza – tanto per cambiare – alquanto discutibile. I vicini pensando addirittura a una vacanza. Esilarante.

Lucia Borsellino ci ricorda quanto fosse complicato per suo padre far comprendere alle figlie che presto avrebbero dovuto lasciare di punto in bianco la propria casa, senza nemmeno sapere dove andare. Interpretate questo come un singolare show di famiglia, condito da immensa fragilità e difficoltà comunicative. D’altra parte, eravamo tutti impegnati a fingere che fosse solo una gita estiva, no?

Ovviamente, i nodi arrivano sempre al pettine: un problema di salute costrinse Lucia a tornare prima a Palermo, strappandola a quella “famiglia riparata” sull’isola. Ma niente drammi inutili, per carità, con tanto di sensi di colpa gonfiati ad arte—perché, come ricorda lei stessa, un “momento straordinario” resta tale anche se vissuto tra paure, assenze anticipate e sorrisi smaglianti di quei pochi e amabili eroi, come Giovanni Falcone, la gentile Francesca Morvillo e la “giovane” mamma Lina.

E non dimentichiamo la “serena permanenza” all’Asinara, gentilmente sponsorizzata dal direttore del carcere e… sua moglie, davvero ottima compagnia. Ma la vera star dietro le quinte? Il provvidenziale agente penitenziario Gianmaria Deriu, mutato in “ombra” e membro della famiglia—un ruolo decisamente piĂą glamour del solito.

La conclusione è tutta da manuale: Lucia concede che l’integrazione tra passato e presente, ovvero il bagaglio di dolore accettato e odiato ma infinitamente amato, è esattamente ciò che le ha fornito la forza per andare avanti. Quel “passato” fatto di macerie e tragedie che, ironia della sorte, ha cambiato per sempre la vita di tutti loro, sette anni dopo.

E naturalmente, tra i personaggi di questa oscura saga, non poteva mancare anche Manfredi Borsellino, per completare il quadro di un dramma familare che si vorrebbe dimenticare ma che la storia – implacabile – continua a ricordarci senza sosta.

<pQuando la passione per la famiglia si trasforma in un melodramma da premio, Giovanni Manfredi non si risparmia. Accanto a sua sorella Lucia, con la mano tremante e lacrime pronte, si lascia andare a tanta commozione che manco al miglior sceneggiato televisivo italiano. Perché veder passare 40 anni non è mica come sorseggiare un caffè, no? Manfredi infatti ricorda con enfasi quel “fratello maschio” che la vita, generosa come un banco dei pegni, gli ha concesso solo dal 1985, nel mitico carcere dell’Asinara. Sì, avete capito bene, l’Asinara non è solo un’isola paradisiaca ma, udite udite, il luogo dove si crea un fratellaggio indissolubile.

Un “passaggio importantissimo”, ci tiene a precisare, come se fosse la cosa piĂą epica dopo la crusca delle penne degli scrittori d’altri tempi. Il rito? Portare la famiglia sull’isola. Lui l’ha fatto con i suoi figli e ora tocca a Lucia trasportare marito e figlie in questo pellegrinaggio sacro. Insomma, da tradizione, un tour de force familiare con vista carcere che dovrebbe passare di generazione in generazione, peccato che abbia deciso di farlo proprio lì, dove la gioia e il divertimento si respirano a pieni polmoni… o quasi.

Oh, non dimentichiamo il ringraziamento all’Associazione Nazionale Magistrati (Anm), avvolta in una patina di gloria nell’organizzazione della due giorni all’Asinara. A capo della scena, il buon Andrea Vacca, “segno tangibile” di una magistratura nuova, illuminata e – attenzione – completamente scollegata dalle “precedenti generazioni”, che, mi raccomando, non sono state sostenitrici solo di eroi ma anche di “altre figure” (leggasi: pasticciatori d’immagine) che hanno regalato alla magistratura un po’ di quella complicazione in più che tutti amiamo tanto.

Ecco il quadro: piangono i presenti, piangono il segretario generale Rocco Maruotti, piange pure l’agente penitenziario Gianmaria Deriu, quasi in trance da commozione. Una scena che definiremmo “indelebile” solo per non sembrare troppo monotoni. E quando il sipario cala, i protagonisti lasciano l’isola con quella promessa di non dimenticare, convinti che un’isola-prigione sia davvero il posto giusto per costruire legami familiari eterni e nobili idee di giustizia sociale. Insomma, un vero e proprio modello di integrazione familiare e istituzionale… ma soprattutto un capolavoro di sensibilitĂ  e tempistica.

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