Il curioso caso del requisito del trattamento di sostegno vitale, quella meraviglia giuridica incastonata nella sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019, continua imperterrito a seminare discriminazioni degne di una sceneggiatura di Kafka. Negli ultimi anni questa clausola ha fatto il giro d’Italia più volte: otto passaggi davanti alla stessa Corte e ben sei processi penali ancora in corso. Nel frattempo, ben 40 coraggiosi volontari dell’associazione Soccorso Civile, fondata dal tenace Marco Cappato, si sono autodenunciati – quasi fosse un badge d’onore – dopo aver accompagnato malati in Svizzera per accedere al suicidio assistito, ovvero andare oltre un sistema che continua a negare loro scelte elementari.
Mica per niente l’ultimo caso è emblematico: Paola, 89 anni, afflitta da un parkinsonismo avanzato. Padrona della sua mente, lucida come poche, pronta a decidere della propria vita, ma non abbastanza “dipendente” da quei surreali “trattamenti di sostegno vitale” per poter esercitare la propria volontà in Italia. E così, come già altre volte accaduto, è stata portata in Svizzera da due instancabili volontarie, Felicetta Maltese e Virginia Fiume, oltre al solito Marco Cappato. Il giudice per le indagini preliminari di Bologna, con un’ordinanza di fine settembre, ha preso atto della follia e ha rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità dell’articolo 580 del codice penale, liquidando l’esistenza del requisito come ‘irragionevole’.
L’Associazione Luca Coscioni non usa mezzi termini nel sottolineare l’assurdità: il “sostegno vitale” è diventato un ostacolo arbitrario che fa la bella figura di dividere tra malati di serie A e di serie B, trasformando chi aiuta i sofferenti in presunti criminali.
Filomena Gallo osserva con la saggezza di chi ha visto troppi colpi di scena: “Non è più accettabile che si neghino diritti ormai riconosciuti dalla Consulta”. Parole sacrosante, se non fosse che il Parlamento propone di peggiorare ulteriormente la situazione.
Marco Cappato non perde occasione per denunciare quel disegno di legge come l’ennesima gabbia che restringe diritti con la destrezza di un illusionista maldestro. Non solo si escluderebbe il Servizio sanitario nazionale dal garantire questi diritti, ma si obbligherebbe chi è malato a un percorso palliativo obbligato, senza scampo né scelta. Ricorda che persone come Laura Santi o Gloria in Veneto, oggi simboli dolorosi di questa realtà, sarebbero stati escluse dalla legge se fosse passata così com’è.
Dunque, ecco il punto: Cappato, fedele fino alla fine al suo impegno, invita il Parlamento ad abbandonare le proposte farlocche e finalmente adottare la sua iniziativa popolare per l’Eutanasia legale. Una proposta che, miracolosamente, rispetta le decisioni della Consulta, riduce i tempi burocratici a un massimo di 30 giorni e riconosce a ognuno il diritto di decidere fino all’ultimo respiro.
Il congresso Luca Coscioni rilancia la sfida
Il tema non è solo materia da carta bollata o aule giudiziarie. È stato al centro del XXII Congresso dell’Associazione Luca Coscioni, tenutosi a Orvieto, dove si è rilanciata la strategia di lotta ripartendo dall’eredità di due figure chiave, Luca Coscioni e Laura Santi. Lo slogan? “Non rassegnatevi mai”. Facile a dirsi, se non fosse che chi si batte lo fa contro un sistema che legifera per negare, lascia processare chi aiuta, e soprattutto crea categorie inutilmente discriminate tra chi può e chi non può decidere della propria esistenza.
Il risultato è che, mentre nel resto del mondo si discute e si approvano leggi per l’autodeterminazione, da noi si continua a mettere in scena un copione tragicomico fatto di regole assurde e di sofferenze costrette a essere nascoste o, peggio, a fuggire all’estero per trovare una qualche dignità.
Benvenuti nell’Italia del sostegno vitale che non sostiene nulla, dell’autonomia negata e delle libertà sospese. Un capolavoro di burocrazia discriminatoria da applausi… sarcastici.



