Sprecare energie e risorse è un vizio antico ma sempre amato, soprattutto quando si tratta di negare alle donne anche il semplice diritto di decidere come abortire. Ebbene sì, ancora oggi c’è chi si aggrappa con le unghie e con i denti a queste assurdità, come ha sottolineato con grande chiarezza Anna Pompili, attivista dell’UAAR e dell’Associazione Luca Coscioni, intervenendo al congresso a Orvieto.
Nel 2024, anno del progresso digitale e delle intelligenze artificiali, solo due regioni – Lazio ed Emilia-Romagna – si degnano di applicare le linee guida ministeriali sull’aborto farmacologico del 2020. Le altre, si scuseranno forse con qualche dogma medievale, arretrano disgustosamente dietro ostacoli ideologici. Una follia travestita da politica sanitaria.
Non è mai troppo chiaro che il prerequisito per esercitare qualunque diritto è l’informazione, quella vera, non il sentito dire o le menzogne infarcite di moralismi. La campagna “Aborto senza ricovero”, che qualcuno dice essere rivoluzionaria, altro non è che un tentativo di fare chiarezza sulla legge 194 e di difendere la salute riproduttiva da chi vorrebbe ridurla a un tabù o, peggio, a un privilegio riservato a pochi.
Insomma, più che di politica di salute pubblica, si tratta di battaglie culturali che, in un territorio come il nostro, sembrano essere ancora più tormentate di un’epoca di oscurantismo. Spesa inutile per reiterare un controllo che le donne vorrebbero evitare, soprattutto in tempi dove autonomia e libertà dovrebbero essere evidenti come l’aria che respiriamo.



