Roma si inventa pietre d’inciampo rosse per i morti di Gaza: arte o teatro del paradosso?

Roma si inventa pietre d’inciampo rosse per i morti di Gaza: arte o teatro del paradosso?

Una ventata di “arte” urbana si è abbattuta su Roma, dove adesivi di un rosso sgargiante con i nomi e le età delle vittime di Gaza hanno fatto capolino accanto alle pietre d’inciampo che ricordano le vittime ebree dei campi di concentramento. Un richiamo visivo che non poteva passare inosservato, comparso non solo a Trastevere, ma anche in via Natale del Grande, piazza San Cosimato – già sgomberati dalle autorità – e piazza Bologna. Ovviamente c’è chi ci vede un gesto artistico, o meglio un atto di guerriglia simbolica, firmato dal collettivo ‘Frà Tau’, che veste l’azione con un’aura francescana degna di nota.

Ovviamente, in un giorno sacro come il 4 ottobre, il collettivo non poteva scegliere una data più “ad hoc” per lanciare il suo messaggio di “memoria attiva”. Perché niente dice meglio “ricordare senza ferire” come incollare adesivi rosso vivo sui simboli della memoria storica più dolorosa d’Europa. Ecco la spiegazione dall’ardito narratore di questa impresa artistica-politica: l’urgenza di svegliare le coscienze tramite un “movimento capace di denunciare senza gridare”, usando l’arte come “strumento di guerriglia simbolica”, ma con “scelte etiche e poetiche”. Chiaro come il sole, no?

Così, i più di 400 “Stolpersteine” disseminati per Roma – queste innocue pietre d’ottone incastonate nel cemento del suolo cittadino che ricordano vite spezzate dalla barbarie totalitaria – diventano il palcoscenico per un messaggio che sa più di teatrino simbolico che di vera riflessione storica. Inutile negarlo, il contrasto è un capolavoro involontario: l’iniziativa del collettivo nasce nel segno di un santo che celebrava l’apertura verso il diverso, ma finisce per usare quel simbolo in modo quasi provocatorio sulla pelle di una memoria ferita e sacra.

Il collettivo “Frà Tau” tiene a sottolineare come questa scelta di timing, il giorno di San Francesco, sia carica di significati: l’incontro tra Francesco e il Sultano — un evento storico che rappresenterebbe “coraggio e apertura” — diventa una metafora da usare come eco per le “barche che sfidano il Mediterraneo” e le “carovane che sfidano i muri e i confini”. Insomma, questa performance è un appello a non ridurre la memoria a un “rito sterile”, perché “ogni vita è degna di memoria” e senza consapevolezza “la storia cade, e con essa la nostra umanità”. Parole altisonanti, quasi commoventi, se non fosse che tutto questo avviene strisciando adesivi sulle pietre che ricordano milioni di morti innocenti.

In sintesi, una bella sfida artistica che forse meriterebbe una riflessione più profonda sul rispetto della memoria storica e sul modo in cui la si utilizza per fare politica, o peggio ancora, per lanciare messaggi che sembrano più delle operazioni di facciata che veri atti di consapevolezza. Ma in fondo, chi siamo noi per criticare? L’arte contemporanea ha sempre questo gusto per il dramma simbolico, anche quando rischia di diventare il miglior alleato del paradosso.

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