I dati sulle malattie neurologiche continuano a strapparci dal mondo delle illusioni: queste condizioni, che includono dal banale mal di testa fino al temutissimo Parkinson, non sono solo più diffuse di quanto si voglia ammettere, ma sono pure la causa principale di disabilità nel mondo. E come ciliegina sulla torta, sono anche la seconda causa di mortalità globale. Un vero successo, no?
Alessandro Padovani, presidente della Società italiana di neurologia, durante un convegno organizzato da Triennale Milano insieme a Lundbeck Italia, ci ha offerto una fotografia altrettanto catastrofica per il nostro sistema sanitario. È tutto un grande balletto: da un lato si riconosce il peso enorme e i costi sociali di queste patologie, dall’altro si lascia il sistema letteralmente impreparato a gestire chi ne è colpito.
Come se non bastasse, il problema si infittisce ulteriormente: meno medici, meno infermieri, cure che somigliano più a un incidente che a un percorso coordinato. Come dice Padovani, la medicina è ancora rinchiusa in “silos” disciplinari che non osano nemmeno scambiarsi una parola.
Non si fanno ponti nemmeno tra specialità che dovrebbero camminare mano nella mano. Neuropsichiatria infantile e neurologia? No, meglio stare ai propri angolini. E lo stesso vale per neurologia e geriatria, psichiatria e cardiologia, tutte confinate in reparti che ignorano l’esistenza l’uno dell’altro, nonostante i fattori di rischio condivisi come quelli cardiovascolari e cerebrovascolari.
Padovani ci ricorda come sarebbe bello – quasi un atto di magia – se i diversi settori collaborassero seguendo l’approccio One Health, che promuove una visione integrata delle malattie e dei fattori di rischio. Ma intanto, nelle corsie ospedaliere, regna sovrana una sanità “concentrata sugli ospedali” con una servizio socio-assistenziale che, purtroppo, è ancorato ai vecchi distretti territoriali.
Mettere insieme la medicina delle cure primarie con quella specialistica sembra un’impresa epica, quasi più difficile di un’impresa di Sisifo. E cercare di far dialogare territorio e ospedale o occuparsi delle “fragilità ” – termine vagamente accattivante che indica bambini e anziani – è ancora un lusso fuori portata. A quanto pare, continuare a lavorare con schemi vecchi è la vera tendenza del momento.
Ah, e non scordiamoci l’ultimo, fatidico tema: la formazione. C’è tanto da recuperare, tra decreti ministeriali inutilmente ottimisti e la (poca) buona volontà delle regioni, mentre il problema reale della carenza di personale medico e paramedico continua a mordere senza pietà .
Benvenuti nel mondo sorprendente della neurologia italiana, dove le malattie aumentano ma la cura si prende a calci sulle lunghe distanze. Se la parola “paradosso” ha un senso, questo è uno di quei casi da manuale.



