Terapie di precisione: quando Rome trial sbatte la porta in faccia agli standard old school

Terapie di precisione: quando Rome trial sbatte la porta in faccia agli standard old school

Finalmente, un grande studio randomizzato, accademico e indipendente fa saltare il banco dell’oncologia tradizionale. Pubblicato sul numero di ottobre di Nature Medicine, il cosiddetto Rome trial segna un’importante pietra miliare nella ricerca oncologica internazionale. Invece di farci sorbire le solite promesse vaghe, questo studio confronta senza giri di parole un approccio di medicina di precisione basato su profilazioni genomiche complete con le terapie standard a cui siamo tristemente abituati.

Coordinato dall’Italia con la coinvolgente partecipazione di 40 centri oncologici sparsi dal Nord al Sud – perché si sa, la genialità deve essere ovunque – il trial ha reclutato 1.794 pazienti, un esercito di malati solidi metastatici, seguito da una legione di professionisti che fa arrossire un film di Hollywood: oncologi, patologi, genetisti, biologi molecolari, bioinformatici, radiologi, immunologi e farmacologi clinici. Un vero concerto di esperti per dimostrare che la personalizzazione non è solo una parola di moda.

Gli esperti non hanno usato mezze parole: il Rome trial è “la prima prova prospettica che le terapie personalizzate sono piĂą efficaci dei trattamenti convenzionali” nei tumori solidi avanzati. Ovviamente, non si trattava di accontentarsi di impressioni o casi sporadici, ma di confrontare due strategie opposte: nel braccio sperimentale, pazienti che venivano curati con terapie tagliate su misura in base alla loro firma genomica, approvate (o bocciate) da un famoso Molecular Tumor Board (Mtb) centralizzato.

Il gruppo di controllo, invece, ha dovuto sorbirsi le terapie standard suggerite dalle linee guida piĂą tradizionali, quelle che vanno bene per “la maggior parte” ma forse meno per ognuno singolarmente. Spoiler: la personalizzazione vince, e pure di parecchio.

Per i pazienti del braccio personalizzato, il tasso di risposta è del 17,5%, mentre il gruppetto standard si deve accontentare di un modesto 10%. Statistica che è diventata anche significativissima (p=0.0294), giusto per sottolineare che non è un caso.

La sopravvivenza libera da progressione, quella che indica quanto tempo il tumore sta zitto prima di fare casino, migliora da 2,8 a 3,5 mesi con un hazard ratio di 0,77. Se vi sembra roba da poco, provate a spiegare questo vantaggio a chi combatte ogni giorno con queste cifre.

Il pezzo forte? La durata della risposta a 12 mesi: un clamoroso 22% nel gruppo personalizzato contro un misero 9% nel controllo. In soldoni? Le terapie su misura non solo funzionano di piĂą, ma durano anche di piĂą. Finalmente un risultato che fa tremare i muri delle conferenze noiose.

E se vi sentivate abbastanza eroici, ecco la ciliegina sulla torta: i pazienti con un alto carico mutazionale ma con microsatelliti stabili, trattati con immunoterapia genomica, hanno visto una sopravvivenza libera da progressione a 12 mesi del 32,6% rispetto all’8,1% standard. Un miglioramento così drastico da far riscrivere i manuali.

Paolo Marchetti, il direttore scientifico del Idi-Irccs di Roma e mente del progetto, ha commentato con la solita disinvoltura:

“Questi risultati non sono un semplice passo avanti, ma un vero e proprio cambio di paradigma. Per la prima volta abbiamo fornito una prova tangibile che la medicina personalizzata, supportata dalla genomica, batte le terapie standard nel trattamento dei tumori solidi avanzati.”

D’altronde, chi l’avrebbe mai detto che curare i pazienti in base alle loro caratteristiche genetiche invece di usare l’antico ‘taglia unica’ potesse dare risultati migliori? Seppur con qualche mese in piĂą di sopravvivenza, che dovrebbe essere un motivo di allarme per chi ancora resiste a questa rivoluzione indiscutibile.

Giusto per rendere il tutto ancora più interessante, questo studio apre la strada a una riflessione urgente sulle politiche sanitarie e sulle risorse da destinare alla medicina di precisione. Perché gli enormi investimenti promettono ricavi e risultati, ma in tanti continuano a pensare che il futuro sia ancora quello di ieri.

Ecco quindi che il Rome trial si presenta non solo come un successo scientifico, ma anche come una critica ironica e spietata a chi fatica ad abbracciare il cambiamento, preferendo un comodo immobilismo all’idea di dover rimettere in discussione certezze decennali.

Insomma, la prossima volta che sentirete parlare di oncologia personalizzata come di un’utopia, ricordatevi che c’è uno studio italiano che non solo la mette nero su bianco, ma la esalta come la migliore strategia di cura disponibile. E se non vi va di crederci, almeno sappiate che la scienza questa volta ha dimostrato di saper fare sul serio, con dati alla mano e senza fronzoli.

Che gioia, finalmente una buona notizia nella confusione della medicina oncologica! O, almeno, così dicono i signori studiosi a capo del cosiddetto Rome trial, che ci assicurano che la profilazione genomica completa è “clinicamente superiore” alle solite terapie standard. Ovviamente parliamo di pazienti con malattia avanzata, così per non farci mancare niente.

Il tale Rome trial, citato come la nuova bibbia della medicina di precisione, ha deciso di fare di più che un semplice vaglio delle mutazioni genetiche: ha profilato ogni paziente su tessuto e sangue con tecnologie all’avanguardia, identificando alterazioni “potenzialmente azionabili” in quasi 900 casi. Cosa significa? Che quasi 900 poveri pazienti sono stati sottoposti a un interrogatorio genetico fino all’osso in cerca di una speranza che sia almeno un po’ mirata.

Anche il comitato multidisciplinare (che si suppone non stia lì solo per far scena) ha fatto la sua parte con ben 127 sessioni settimanali, esaminando ogni singolo caso come se fosse il copione di una soap opera. L’obiettivo? Distinguere i geni “buoni da corsa” da quelli inutili, e scartare quei casi in cui proprio non c’era una terapia su misura – perché ovvio, non siamo mica nel paese delle meraviglie.

Andrea Botticelli, professore presso La Sapienza di Roma e boss supremo del centro coordinatore dello studio, puntualizza con la saggezza di chi vive nel mondo reale:

“Non basta avere i test genetici piĂą sofisticati. Il vero valore è saper tradurre quei dati in decisioni terapeutiche efficaci, considerando storia clinica, comorbiditĂ  e trattamenti precedenti di ogni paziente. Questo è ciò che distingue l’oncologia convenzionale da quella veramente personalizzata.”

Insomma, non è solo questione di numeri e di sequenziamenti fantasmagorici, ma di buon senso e di vero cucito su misura. Un concept rivoluzionario, se si pensa che finora bastava buttare la chemio in modo indiscriminato.

Gli autori del Rome trial si lanciano poi in un esercizio di retorica collettiva: lodano la “capacità della ricerca italiana di fare sistema” come se avessimo appena scoperto l’acqua calda. E non dimentichiamo i veri eroi della vicenda: i pazienti e le loro famiglie, che si sono trasformati nei “custodi del senso ultimo” dello studio. Nei drammi oncologici, il coraggio è sempre l’ingrediente segreto di ogni miracolo scientifico.

Marchetti non si trattiene:

“Il loro coraggio e la determinazione hanno trasformato una speranza scientifica in realtĂ  clinica.”

Davvero ispirante, quasi da mettere in cornice. Peccato che questa “realtà clinica” resti confinata ad alcuni centri molto selezionati sul territorio nazionale – ma non temete: la soluzione “rivoluzionaria” arriva con la telemedicina, grazie alla quale ogni povero malato italiano potrà avere accesso a questa medicina di precisione (o quasi).

Mauro Biffoni, direttore del Dipartimento di Oncologia e Medicina Molecolare presso l’Istituto Superiore di Sanità e co-promotore dello studio, spiega:

“La medicina di precisione non deve rimanere un privilegio per pochi centri di eccellenza. Attraverso la telemedicina e la condivisione delle competenze, ogni paziente italiano può accedere a questo livello di cura personalizzata.”

Traduciamo: niente più scuse, si fa tutto davanti allo schermo, benvenuti nell’era della consultazione oncologica da divano. Altamente efficiente, se uno dimentica che non tutti hanno la banda larga o i mezzi per l’autogestione. Ma ehi, chi se ne importa, l’importante è che il concetto venga lanciato nelle conferenze e comunicati stampa.

Infine, per mettere la ciliegina sulla torta, Giuseppe Curigliano, luminare di oncologia a Milano e direttore della divisione sviluppo farmaci innovativi all’Istituto Europeo di Oncologia, conclude con il classico slogan di fine-ballottaggio:

“L’obiettivo finale è rendere la medicina sempre piĂą precisa, umana e vicina ai bisogni reali delle persone. Il Rome trial dimostra che, quando la scienza è al servizio dell’umanitĂ , i risultati possono essere straordinari.”

Insomma, una dichiarazione degna di un discorso presidenziale, che forse però avrebbe bisogno di un po’ meno paillettes e un po’ più di concretezza nella vita dei pazienti, che di parole piene di speranza ne hanno sentite fin troppe.

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