Il glorioso tour della campagna motivazionale NonCiFermaNessuno, ormai un rituale fisso da ben undici anni grazie all’inossidabile Luca Abete, continua a fare tappa nelle università italiane. Con la solita ricetta che definire banale è un complimento – ascolto, confronto e una dose abbondante di buonismo, gratta gratta si scopre che i protagonisti sono sempre gli stessi, decine di studenti anno dopo anno. Si parla di disagio giovanile, fragilità e la solita solitudine da spot pubblicitario, ma anche – sì, perché altrimenti che festa sarebbe – di resilienza, coraggio e sconfitte da serie tv. Insomma, un esperimento ultra consolidato che ogni anno si rifà il trucco con slogan che nascono direttamente da qualche brainstorm della community più sensibile del pianeta.
Quest’anno il tema è “Nessunə è solə”, frase che sfugge alla grammatica e scivola come una mezza verità che salta tra realtà e pura fantasia. Abete ci spiega, con quella saggezza da influencer accademico:
“È una mezza verità che litiga con un’incredibile bugia. Crea dibattito, consenso e al tempo stesso dissenso. L’obiettivo? Scuotere le coscienze e mettere in moto un viaggio nelle ‘nuove solitudini’.”
Ah, la solitudine! Tema di cui non si può proprio fare a meno – un must per il calendario accademico italiano, a tal punto che la campagna ha addirittura conquistato la Medaglia del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il patrocinio del Ministero dell’Università e della Ricerca e la benedizione della Crui, la Conferenza dei Rettori. Quando si parla di patrocini e medaglie, si sa, si è ben lontani dalla solita caciara di strada.
Ovviamente, per non farsi mancare nulla, un Golden Buzzer della Solitudine – un totem tanto misterioso quanto bizzarro – è comparso davanti a qualche facoltà della Università La Sapienza di Roma. Il pulsante magico che invita tutti quelli che si sentono soli a schiacciarlo, come fosse una scorciatoia per essere “visti”. Una trovata che ha generato un “clamoroso” seguito tra gli studenti, tra chi ha premuto per la pura curiosità, chi per manifestare una protesta silenziosa e chi, semplicemente, per dire “Ehi, sono qui!”. Insomma, un bottone che miracolosamente non chiede visibilità ma, attenzione, lancia un SOS.
Abete commenta con la flemma che lo contraddistingue:
“È un’installazione che ha subito colpito molti studenti. Chi per curiosità, chi per esprimere uno stato d’animo o un segnale di ribellione: tantissimi hanno premuto quel tasto. È un bottone che stupisce e catalizza l’attenzione su una necessità talvolta opprimente e spesso taciuta.”
Un format “innovativo” che cambia maschera in base alle mode del momento e alle emergenze dell’ultima ora, diventando così un vero e proprio contenitore di “buone pratiche”, ovvero quell’eterno mix di azioni green, campagne contro la violenza di genere e iniziative solidali che rendono il tutto ancora più instagrammabile. Tutto condito dall’infaticabile energia degli studenti, che non solo partecipano, ma si trasformano in ambasciatori del buon cuore universitario, più o meno convinti, nel tentativo di accorciare le distanze tra generazioni e classi sociali.
E non manca il consueto deus ex machina: il premio #NonCiFermaNessuno, con cui si celebra quell’eroismo quotidiano degli studenti che sopravvivono all’università tra disabilità, malattie invisibili femminili (perché ogni anno bisogna pur trovare qualcosa di sensibile), e avversità varie, mantenendo sempre un sorriso di plastica e una forza d’animo straordinaria, degni di una pubblicità progresso. Come ci tiene a precisare lo stesso ideatore:
“Il Premio è un pretesto per celebrare l’eroismo quotidiano che vede protagonisti tanti studenti talvolta inconsapevoli del valore del proprio impegno e dell’esempio che nasce tra i propri colleghi. In questo tour abbiamo premiato chi si laurea nonostante i tormenti di malattie invisibili femminili, chi non perde il sorriso e l’energia nonostante le disabilità sopraggiunte.”
Insomma, il format ha tutto per continuare a far parlare di sé e, mentre si adatta al volto mutevole dell’università italiana, continua a organizzare tappe da Nord a Sud, includendo per la prima volta la Sardegna. Niente male, visto che finalmente una comunità universitaria varia – da Roma a Calabria, Lombardia e ora anche isole – può godersi questa miscela efficace di buona volontà, storytelling emozionale e l’eterna, commovente solitudine collettiva da laboratorio sociale.
Conclude Abete, come un predicatore moderno:
“Il nostro laboratorio ascolta proprio tutti e ha bisogno di ascoltare le voci che emergono dalle piccole e grandi realtà del nostro territorio nazionale.”



