Flotilla per Gaza? E Israele spara l’accusa di legami con Hamas come se fosse la nuova moda del momento

Flotilla per Gaza? E Israele spara l’accusa di legami con Hamas come se fosse la nuova moda del momento

I tanto agognati documenti segreti di Hamas, ritrovati nella zona nevralgica della Striscia di Gaza e miracolosamente consegnati alle grinfie delle Forze di Difesa Israeliane (IDF), raccontano una storiella che sembra uscita da un episodio di un thriller politico: il movimento avrebbe un ruolo tutt’altro che passivo nel finanziamento della Flottiglia “Sumud”. Questa spedizione, che si autoproclama umanitaria e in navigazione proprio in queste ore verso Gaza, ospita anche attivisti e parlamentari italiani che, evidentemente, non temono i guai di farsi trasportare da autentici “innescatori” di tensioni.

Le mirabolanti rivelazioni vengono da un comunicato dell’“ufficio del portavoce” delle IDF, che ha avuto la brillante idea di pubblicare carte che incrociano i nomi dei leader della flottiglia con quelli di Hamas. Il tramite? La PCPA (Palestinian Conference for Palestinians Abroad), nata nel 2018 come braccio legale e internazionale del gruppo e, ciliegina sulla torta, catalogata da Israele nel 2021 come organizzazione terroristica. Secondo questa narrazione, la PCPA funziona come una vera e propria ambasciata non ufficiale di Hamas all’estero, capace di orchestrare cortei violenti e, ovviamente, spedizioni provocatorie in mare.

In uno dei pezzi da museo rinvenuti, una lettera del 2021 firmata dall’allora capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, sprona i vertici della PCPA a rafforzare “l’unità” – termine nebuloso per indicare forse “fare casino” – e approva a pieni voti le attivitĂ  del braccio internazionale. In un altro documento, viene fuori una rosa di personaggi legati alla PCPA, spesso protagonisti di flottiglie contro Israele negli ultimi 15 anni, come Zaher Birawi nel Regno Unito e Saif Abu Kashk in Spagna, quest’ultimo anche amministratore delegato di una foglia di fico digitale chiamata Cyber Neptune, societĂ  titolare di decine di navi coinvolte nella “Sumud”. Spiace dirlo, ma sembra proprio che le barche non navighino a titolo personale: la proprietĂ  è segreta, sì, ma intestata a Hamas, che ne detiene così il pieno controllo.

Delia e la missione che va avanti, ignara (o incurante) dei diktat di Trump

Nel frattempo, da Roma arriva la postura compiaciuta di Maria Elena Delia, portavoce della delegazione italiana, che ci tiene a precisare come la missione continui senza indugi e che i contatti con i governi stranieri sono stati “sufficienti”. Per la cronaca, la nostra eroina sarà impegnata il 4 ottobre in una manifestazione nazionale nella capitale. Niente dimostrazioni di fuga o ripensamenti dunque: gli italiani a bordo non hanno alcuna intenzione di mollare la barca, umanitaria o meno.

Ma il colpo di scena arriva quando si tocca la questione Trump. La Delia, con quell’aria da chi ha giĂ  fatto tutte le battaglie di pace che le potevano capitare, ci regala questo gioiello di opinione sulla nota “proposta di pace in 20 punti” del presidente americano:

“Non è una pace, è una chiusura di un progetto che aveva come scopo ricondurre Israele sotto controllo della Striscia di Gaza.”

Continuando nel suo irriverente excursus, Delia ironizza amaramente sulle trattative di pace del passato, ricordando che ne erano arrivate “diverse”, tra cui una pure accettata da Hamas – ma vaffanculo ai dettagli, si sa, certo non si sa che fine abbia fatto quella bella idea. La proposta in questione, secondo lei, si fonda sul trasloco forzato dei palestinesi da Gaza, cosa a suo avviso intollerabile e infamante. E il finale è da applausi:

“Quello che mi fa sorridere è che nessuno si prende la briga di chiedere ai palestinesi cosa ne pensano, vengono usati come pedine e se non vogliono lasciare la loro terra, semplicemente gli sparano.”

In soldoni, la questione è tutta un gran pasticcio tra propaganda, società civile in crociera e diplomazia stile “tutti fanno finta di niente”. Dal canto suo, Israele tira fuori dalla manica documenti che, volenti o nolenti, gettano ombra sulla trasparenza e genuinità di certe “missioni umanitarie” in mare. E se Hamas è davvero il burattinaio dietro le quinte, quel che viene da chiedersi è quanto spirito di avventura abbiano davvero gli italiani a bordo e quale futuro si stiano costruendo coi loro “aiutini” nelle acque più turbolente della politica mediorientale.

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