Torino si trasforma in ring per il corteo proPal: caos, botte e il solito spettacolo indecifrabile

Torino si trasforma in ring per il corteo proPal: caos, botte e il solito spettacolo indecifrabile
Torino, ancora una volta teatro di una giornata gloriosa di “dialogo civile” e “pacifica manifestazione”. Sabato 27 settembre, partendo da piazza Crispi, un pacifico serpentone ha percorso le strade della periferia nord, con l’intenzione — tutta pacifista, ovviamente — di raggiungere l’aeroporto di Caselle.

Si sa, però, quando un corteo vuole andare oltre i propri limiti, allegramente si trova ad affrontare un’impressionante schierata di polizia. Quel giorno, le forze dell’ordine, in veste non proprio da comparse, hanno stoppato la marcia. Ed ecco che il dolce incontro si è trasformato in una “guerriglia” degna di miglior causa: bottiglie, fumogeni, petardi grossi come dilemmi esistenziali e sassi sono stati lanciati verso gli agenti, i quali hanno risposto come da manuale del perfetto poliziotto infuriato — manganelli, idranti e lacrimogeni in abbondanza.

Ovviamente, nulla di nuovo sotto il cielo torinese. C’è una regola non scritta: piĂą si promette un corteo pacifico, piĂą si è certi di assistere a scenari apocalittici in salsa urbana. La gentilezza e la diplomazia lasciano spazio alla lotta corpo a corpo tra chi protesta e chi difende – o almeno tenta di difendere – l’ordine pubblico.

La pacifica protesta che non si fa mancare nulla

Un corteo di solidarietà, si diceva. Un momento per manifestare vicinanza a una causa, per sembrare impegnati e coscienti. Peccato che la violenza sembri prendere sempre il sopravvento, trasformando ogni evento in una rissa da bar di periferia, ma con agenti in tenuta antisommossa. Quel miscuglio di ideali buoni e pessime modalità ha trasformato un’iniziativa di piazza in uno spettacolo poco edificante per Torino e i suoi abitanti, che da tempo ormai sembrano rassegnati a vedere il proprio territorio travolto da tensioni che in pochi sanno davvero gestire.

Non è difficile prevedere come si svilupperà il refrain nei giorni a venire: dichiarazioni di condanna generiche, appelli alla calma che faranno sorridere solo gli ingenui e la solita alternanza tra vittime e carnefici a seconda dell’interlocutore su cui puntare i riflettori. Il tutto condito da una retorica stucchevole sulla libertà di manifestare, dimenticando ogni volta che a manifestare sono quasi sempre quelli che hanno scelto con cura modi poco ortodossi per esercitare questo diritto.

L’epopea della contraddizione continua: da un lato si invocano diritti e libertà, dall’altro si lanciano oggetti spaccando vetrine o bloccando strade. Eh sì, quella del “diritto di sciopero” pacifico sembra ormai un biennio passato, ora l’ovvietà è quella di ingaggiare battaglie da film d’azione, senza però mai dirsi che forse la strategia sarebbe meglio rivederla.

Le forze dell’ordine protagoniste del balletto della repressione

Poi ci sono le forze dell’ordine, immancabilmente chiamate a “mantenere la calma” con metodi poco tranquilli. Idropulitrici, manganelli, e le immancabili bombe lacrimogene: un mix perfetto per trasformare un venerdì nero in un sabato di guerriglia urbana che nessuno davvero voleva, ma tutti in fondo si aspettavano.

Non che si possa essere sorpresi: molte volte il copione si ripete pedissequamente, come un brutto déjà vu. La parabola delle manifestazioni da piazza a campo di battaglia sembra ormai un genere collaudato per attirare attenzione e giustificare poi le scelte più discutibili di polizia e politica. E nel mezzo? I torinesi, che vedono un altro pezzo della loro città trasformarsi in un ring a cielo aperto, tra fumo, lacrime e slogan urlati a vuoto.