Non c’è nulla di cui sorprendersi: in Africa la salute respiratoria è una questione talmente urgente da essere… completamente ignorata. Non solo le malattie respiratorie mietono vittime – soprattutto tra i bambini sotto i 5 anni – ma le malattie croniche come asma e broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco) ormai camminano indisturbate nell’ombra, senza nemmeno una diagnosi o una terapia decente. Possiamo quindi applaudire al fatto che, nei Paesi africani, non esista neppure un sistema di rimborso per chi si affanna a gestire queste patologie.
Il quadro desolante è stato dipinto da Refiloe Masekela, presidente della Pan African Thoracic Society e a capo del Department of Paediatrics and Child Health dell’Università di KwaZulu-Natal in Sudafrica, durante un evento celebrativo a Parma in occasione dei 20 anni della Paolo Chiesi Foundation. La priorità sembra non esserci, e capirete il perché dopo il suo appello.
Refiloe Masekela ha illustrato: “Per dare un senso al miglioramento della salute polmonare nel continente nero serve un approccio che smetta di essere monocorde. Prima di tutto, è indispensabile formare meglio il personale sanitario – sembrerebbe quasi ovvio, eppure è un miraggio. In secondo luogo, investire in ricerca sulle malattie respiratorie croniche, perché quella che c’è è quasi inesistente. E poi garantire un accesso sostenibile a farmaci inalatori, che ad oggi restano un lusso per chi vive con queste patologie.”
Nonostante i proclami degli organismi internazionali, tipo il Forum delle società respiratorie nazionali che ha presentato richieste roboanti al vertice ONU, la realtà rimane spietata: la formazione del personale sanitario è ancora una chimera, e per chi sospetta di ammalarsi l’unica certezza è l’assenza di diagnosi o un trattamento fantasma.
Ora arriva il colpo di genio: “È fondamentale potenziare la capacità di ricerca,” spiega l’esperta, “perché, senza dati, come possiamo capire l’effettiva portata del problema o verificare se si sta facendo qualche progresso?” Parole sante. Ma naturalmente, la vera ciliegina sulla torta è che i governi africani dovrebbero pure adottare politiche che assicurino un accesso universale alle terapie inalatorie – mica una cosa da poco. Senza queste decisioni – ovviamente assenti – anche dove la diagnosi è stata miracolosamente fatta, i farmaci rimangono un miraggio.”
Come se non bastasse, c’è un altro dettaglio da tenere d’occhio: i farmaci inalatori non sono solo roba di salute, ma giocano pure in un enorme gioco ambientale. Le nuove normative che vietano le sostanze Pfas – non certo qualcosa di poco conto – rischiano di rendere gli inalatori ancora più rari e inaccessibili, soprattutto nei Paesi a basso reddito. Un cocktail esplosivo per chi ha già poco o nulla.
Le contraddizioni di un continente che ignora i propri polmoni
Insomma, mentre si celebra l’importanza della salute polmonare con convegni e promesse, l’Africa brucia sottotraccia, strangolata da scelte politiche assenti e sistemi sanitari che sembrano più un paradosso che una soluzione. La cruda realtà? I bambini muoiono, gli adulti sono diagnosticati troppo tardi o per niente, e le poche terapie palesi sono fuori portata per la maggior parte della popolazione.
Invece di investire davvero, si preferisce continuare a girare attorno al problema con la stessa vecchia ricetta: qualche impegno a parole, nessun piano concreto. Perché risolvere è difficile e costoso, mentre non fare niente costa solo vite umane dimenticate.
La triste ironia sta nel fatto che in un’epoca di super-tecnologie e comunicazioni iperveloci, milioni di persone vivono di fatto ancora nel Medioevo sanitario, con polmoni condannati a un lento e ignorato destino.
Per quanto tempo ancora si chiuderà un occhio su queste emergenze respiratorie? Fino a quando si continuerà a celebrare eventi e fondazioni che preferiscono una bella immagine anziché un’effettiva rivoluzione sanitaria? La risposta – amara ma concreta – è tutta lì, nella tragedia silenziosa che pesa su un continente che continua a respirare a metà.
Ma facciamo un salto nel favoloso mondo della filantropia, quel regno magico dove con un po’ di buona volontà e qualche dollaro ben piazzato si cambiano le sorti del mondo. Il sostegno, ovviamente, dovrebbe concentrarsi su tre aree miracolose per far fiorire la sanità africana — perché ovviamente fino a oggi erano tutti imbranati.
La prima mission impossible è: potenziare la forza lavoro sanitaria. Questo non vuol dire solo aumentare i chirurghi e gli infermieri, no no, bisogna soprattutto assicurarsi che ci siano specialisti come pediatri e pneumologi. Perché pare che in diversi Paesi africani non ne esista nemmeno uno. No, non è un errore, neanche uno! Spiegatelo a quei poveretti con problemi polmonari gravi, sperando che trovino un internet point per guardare tutorial su “come curarsi l’asma da soli”.
Seconda area magica: potenziare la capacità di ricerca. Per colmare, parola che fraintende immensamente la parola “lacune” (atroci, dette anche “buchi neri”), nei dati epidemiologici e negli studi sul carico di malattie respiratorie croniche. Come? Facile: con programmi di formazione e supporto alla ricerca, ovviamente. Perché è chiaro che la soluzione alle epidemie invisibili è inserire qualche sessione PowerPoint in più nei workshop locali, magari tradotti in lingue impossibili.
Terza puntata del meraviglioso: integrare i servizi clinici nei contesti a risorse bassissime. Traduzione per chi non mastica il gergo politico-sanitario? Migliorare l’accesso alle terapie così che chi ha queste malattie non venga scambiato per un invisibile in fila alla cassa del supermercato.
Masekela tira le somme con la tipica delicatezza da filantropo illuminato:
“Questi sono gli ambiti in cui la filantropia può fare davvero la differenza. E, con un impegno multifattoriale, sarà possibile migliorare la gestione delle malattie respiratorie croniche in Africa.”
Insomma, un cocktail di buone intenzioni, condita da un pizzico di naiveté e un cucchiaio di retorica internazionale. Ma tranquilli, con la giusta dose di impegno, chissà che qualche pneumologo compaia davvero dal cilindro. Speriamo solo che non si tratti di un trucco da prestigiatore.



