Sempre pronta a stupire con il suo spirito rivoluzionario da salotto, la band di sei esagitati di Ultima generazione ha deciso di trasformare piazza Montecitorio in un palcoscenico per la propria ansia da protagonismo. Dopo aver eluso con sorprendete facilità i controlli di sicurezza, hanno intonato un energico “Blocchiamo tutto”, facendo sventolare con dovizia una bandiera della Palestina. Un mix perfetto di confusione simbolica e attivismo a tempo perso.
Naturalmente, le forze dell’ordine, calate nel ruolo di guardiani della serietà pubblica, hanno subito preso in mano la situazione con efficacia da manuale: gli sbandieratori sono stati prontamente fermati e accompagnati cortesemente fuori dai varchi, interrompendo il loro esibizionismo improvvisato.
La solita teatralità fuori luogo
È curioso come certe manifestazioni puntino più all’effetto scenico che a vere proposte o riflessioni intelligenti. L’occasione è sempre ghiotta: una piazza centrale, simbolo della democrazia parlamentare italiana, diventa il teatro di una protesta il cui unico scopo sembra essere quello di attirare l’attenzione sui social, piuttosto che incidere realmente su qualche dibattito politico. Per non parlare di quanto possa risultare naïf agitare simboli geopolitici complessi come quello palestinese in un contesto così distante dalle dinamiche internazionali reali.
La questione palestinese è sicuramente delicata e merita discussioni profonde e serie, non slogan urlati tra i palazzi della politica italiana. Ma evidentemente, per alcuni, il valore della protesta si misura più in decibel e flash fotografici che in contenuti. E poi, diciamolo, il vero “blocchiamo tutto” è stato proprio quello delle loro chance di spiegare qualcosa di concreto dopo una performance tanto rumorosa quanto evanescente.
Le forze dell’ordine come spauracchio necessari
Come prevedibile, gli agenti non hanno esitato a intervenire: il loro ruolo? Bloccare l’assurda invasione di chi trasforma il dibattito politico in un circo improvvisato. Eppure, non si può fare a meno di notare l’ironia della cosa: mentre il governo discute di questioni cruciali a porte chiuse, sei attivisti trovano il tempo per una sceneggiata in piazza, subito smantellata con un gesto di grazia da un apparato di sicurezza che, si spera, abbia altro a cui pensare.
Un bravo agli agenti, dunque, che – tra l’altro – hanno fatto il loro mestiere senza trasformare un’esibizione un po’ ridicola in un caso nazionale da cavalcare a fini politici. Del resto, anche la serietà ha i suoi limiti quando si tratta di fronteggiare informalità mescolate a ingenuità spettacolare.
Un precedente tutto da riflettere
Questa scenetta in piazza Montecitorio offre uno spunto di riflessione più ampio sulla funzione stessa delle proteste contemporanee: siamo davvero all’altezza di chiamarle azioni di dissenso o si tratta ormai principalmente di strategie di visibilità pronte a suggerire un impegno civile che poi si dissolve come neve al sole?
Al di là delle convinzioni personali su qualunque tema, questa vicenda testimonia la difficoltà di emergere con messaggi chiari e incisivi in una società frastornata da stimoli continui. Forse la vera sfida non è tanto bloccare tutto, ma far sì che qualcosa abbia davvero inizio.



