Il giorno dopo la guerriglia urbana scatenata al termine della manifestazione pro Palestina, nella zona della Stazione Centrale di Milano si è pronti più a raccogliere i cocci che a quantificare i danni ancora da valutare, perfettamente in linea con la tradizione della città meneghina: tornare subito alla routine e agli affari senza perdere nemmeno un minuto.
Lo snodo milanese, bloccato ieri pomeriggio dai manifestanti, oggi funziona come nulla fosse accaduto: è stata ripristinata l’accessibilità sia nell’ovale al piano interrato, luogo in cui erano scoppiati i primi violenti scontri, sia nella Galleria delle Carrozze, trasformata per oltre un’ora in un set di fumogeni e lacrimogeni. L’ampio atrio porticato è ora un via vai indisturbato di pendolari e turisti, troppo impegnati a rincorrere il treno per notare che il portone centrale mostra un vistoso buco dove mancavano i vetri, pronti a essere sostituiti, e che i cancelli esterni, scardinati dagli assalitori della stazione, sono chiusi con del banale nastro bianco e rosso. Evidenti però restano le “ferite di guerra”: estintori staccati dalle pareti e lanciati contro le forze dell’ordine, insieme a un’infinità di scritte “Free Gaza” che imbrattano i marmi immacolati.
In piazza Duca d’Aosta, adiacente alla stazione, dove gli scontri si sono spostati dopo che i manifestanti sono stati respinti dal cortile ferroviario, qualche pietra resiste tra le aiuole mentre diverse lastre della pavimentazione sono sparite nel nulla. Ma è in via Vittor Pisani, il grande viale che congiunge la Stazione Centrale con piazza della Repubblica, che si registra l’esercizio più intenso della “ricostruzione velocissima”: qui i manifestanti si erano fermati in presidio fino a tarda sera, osservati a vista da poliziotti in tenuta antisommossa.
Le vetrine della filiale Unicredit sono adornate da mani color sangue e slogan per la Palestina sono sparsi ovunque: marciapiedi, carreggiate stradali, persino cartelli del traffico non si salvano dall’arte murale improvvisata. Mancano cestini, sampietrini e persino una barra d’acciaio che delimitava la pista ciclabile è sparita, come per magia o forse per la smania di protestare.
I commercianti e ristoratori, chiusi dentro ai loro locali insieme ai clienti nella notte della rivolta, non hanno voglia di piangersi addosso oggi: “Sto recuperando il lavoro perso ieri, senza perdere tempo”, taglia corto il proprietario di un bar tabacchi graffiando la retorica del danno. Al vicino sushi, il personale conta i vasi spariti, quelli usati come tamburi dai manifestanti per scandire il ritmo di una protesta diventata una specie di carnevale poco pacifico, ma almeno ritmato.



