Non serve un miracolo economico né una rivoluzione copernicana per ristrutturare la fantasia collettiva sui conti pubblici italiani: bastano due numeri freschi dall’Istat e voilà, il racconto apocalittico della voragine fiscale svanisce come neve al sole. Per mesi ci hanno martellato con l’incubo di un “baratro nei bilanci pubblici”, con metafore da film catastrofico tipo “Vajont fiscale” per descrivere le conseguenze di superbonus e altri incentivi edilizi. E invece, signore e signori, i dati ufficiali dell’ultimo aggiornamento dell’Istat raccontano una realtà ben più solida di quanto ci vogliano far credere.
Oltre a un aumento della pressione fiscale che fa sobbalzare chiunque (ben 1,3 punti percentuali in un anno, mica bruscolini), la vera sorpresa viene dalla revisione al rialzo del Pil nominale del 2023. Rispetto alla stima di marzo scorso, il prodotto interno lordo è cresciuto di ben 11,2 miliardi di euro in più. Se prendiamo però come termine di paragone la prima stima ufficiale sempre dell’Istat, quella di marzo 2024, la differenza diventa addirittura impressionante: +57 miliardi di euro. Non parliamo solo di un piccolo errore di calcolo, ma di una vera e propria riscrittura delle regole del gioco macroeconomico.
Il rapporto tra debito e Pil, colonna portante di ogni drama economico che si rispetti, aveva strillato a marzo scorso un perentorio 137,3%. Oggi, invece, con questa generosa revisione, si attesta a un più moderato 133,9%. E qui l’ironia arriva al suo apice: questo valore è non solo inferiore all’attesa, ma addirittura più basso del fatidico 134,2% registrato nel 2019, ai tempi in cui la pandemia e la crisi energetica erano ancora solo incubi lontani. Tradotto: il peso del debito sul nostro PIL è oggi più leggero che prima della serie di catastrofi economiche che hanno segnato l’ultimo lustro italiano. Che sorpresa!
Questa rovesciata di prospettive arriva non solo grazie a una crescita nominale del Pil più robusta del previsto, ma anche per effetto di una mirabolante riclassificazione delle componenti strutturali della domanda interna, con il settore delle costruzioni protagonista indiscusso di questa rivelazione. È infatti proprio questo comparto a far saltare il banco: nelle quattro rilevazioni succedutesi in un anno e mezzo, il contributo al Pil dato dall’edilizia nel 2023 è stato corretto al rialzo di 35,1 miliardi di euro, che è circa il 60% dell’intera revisione complessiva del Pil nominale. Per dare un’idea dell’entità del fenomeno, in termini nominali il Pil del settore costruzioni è schizzato dell’85% rispetto al 2019, mentre se si guarda al valore reale la crescita rimane comunque impressionante, attorno al 60%.
Ora, sarà un caso, ma questo boom edilizio coincide sospettosamente con l’effetto degli incentivi fiscali lanciati negli ultimi anni, quei simpatici superbonus e bonus vari che hanno trasformato la realtà economica di cantieri e mattoni in una sorta di Eldorado economico. Per mesi si è discusso esclusivamente del rovescio della medaglia: i costi fiscali, la complessità assurda del meccanismo dei crediti d’imposta, le solite paure di frodi e l’ormai canonica lentezza della burocrazia italiana. Ovvio che tutte queste difficoltà esistano e pesino come un macigno, ma si è dimenticato un piccolo dettaglio: l’effetto moltiplicativo che questi incentivi hanno avuto sull’attività economica, un’impennata ben più consistente di quanto le stime iniziali avessero osato prefigurare.
Nel 2023, mentre qualcuno ancora straparlava di colossali buchi nei conti pubblici dovuti ai superbonus edilizi, più di 10 miliardi di euro di crediti maturavano, con impatti sul “cassa”. E che succede? Lo spettacolo comico è che il tanto decantato rapporto debito/Pil, quello che tutti tengono d’occhio come se fosse un oracolo, è sceso di ben 4,4 punti percentuali. Sì, avete letto bene: il debito si è contenuto proprio mentre le misure economiche per rilanciare l’edilizia erano in piena azione.
In pratica, invece di saltare col paracadute nel burrone finanziario, l’Italia ha continuato la sua discesa miracolosa nel contenimento del debito. Ma certo, stroncare la narrativa catastrofista è sempre un’impresa titanica, e in pochi hanno passato l’aspirapolvere sui dati reali: meglio gridare al disastro imminente.
Ovviamente, la saga non si chiude qui. Per il 2024 le proiezioni dell’Istat prevedono un leggero aumento del rapporto debito/Pil al 134,9%, roba da far strabuzzare gli occhi a qualcuno. Peccato che anche questo dato sia tutt’altro che scolpito nella pietra e potrebbe mutare appena il vento politico cambia direzione. E come ciliegina sulla torta, l’agenzia di rating Fitch ha recentemente deciso che possiamo comunque mettere un bel “ok” sulla nostra situazione economica, insinuando che non tutto sia così fragile come qualcuno vuole far credere.
Insomma, tra allarmismi da bar dello sport e retoriche politiche da campagna elettorale, la realtà si dimostra sempre meno drammatica di quanto dipinta. Non si tratta certo di passare dall’estremo opposto e dire che tutto è rose e fiori, o che nessun problema esiste. No, si tratta soltanto di togliere il velo di catastrofismo esagerato e analizzare i numeri senza farsi prendere dal panico da manuale della disinformazione.



