Totò Riina, eroe con la U maiuscola e padre modello? La simpatica versione del figlio del boss di Corleone è una chicca destinata a scuotere il buon senso e a far sobbalzare chiunque abbia un briciolo di memoria storica.
Giuseppe Salvatore Riina, noto anche come Riina jr., ci regala un ritratto familiare degno del miglior cinema surreale. Un «uomo con la U maiuscola», cioè un capo mafia che non solo sfida il sistema, ma è pure un padre «serio e onesto», rigorosamente “uomo della parola data”, e cosa più sorprendente, mai visto con una pistola sporca di sangue. Questo piccolo manifesto del buon papà mafioso è stato snocciolato con la nonchalance di chi vuole riscrivere la storia su misura per il soggiorno di casa sua.
Ora, attenzione: secondo lui, il papà non ha mai ordinato la tragica morte del piccolo Giuseppe Di Matteo, una storia di terrore e brutalità che invece è tragicamente nota a tutti. E non è finita qui. Il compianto Giovanni Falcone, simbolo antimafia caduto sotto i colpi della criminalità organizzata, secondo Riina jr. non dava fastidio a papà Totò, ma «agli altri dietro le quinte». Traduzione? Falcone era un ostacolo solo per misteriosi poteri occulti in odor di mafia, non per il boss di Corleone. Geniale.
Per Salvuccio, il papà si è beccato l’arresto semplicemente perché dava fastidio, proprio come quei due famosi ritirati dal campo da gioco prima del tempo (leggi Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro): «Erano malati e non servivano più a quelli che detenevano veramente il denaro della mafia». Insomma, secondo questa fascinosa versione, la mafia sarebbe una specie di azienda che scarta gli anziani e i deboli una volta terminato “l’uso”. Da applausi, vero?
E per chi si stava chiedendo se la banda Ryanair sia stata particolarmente violenta, ecco la perla finale: mai visto il papà fare atti di violenza né arrivare con una pistola insanguinata. Se escludiamo il fatto che un boss mafioso rare volte faccia serate di gala armato fino ai denti, questa narrazione sembra uscita da una fiaba letale in stile “C’era una volta una mafia buona”.
Come ciliegina sulla torta arriva il paragone da Oscar: la sua vita avrebbe qualcosa in comune con quella dei bambini di Gaza. «Come i piccoli palestinesi, ho vissuto sempre come fossi in perenne emergenza». Certo, perché tra scorte, protezione statale, e privilegi delle famiglie di boss, la quarantena in una famiglia mafiosa è praticamente un’esperienza di guerra urbana, giusto? L’isterismo da “povera creatura sotto assedio” è il tocco in più per rendere tutto ancor più irresistibile.
La dura replica della politica antimafia siciliana
Nemmeno le istituzioni hanno trovato il tempo di sorvolare sulle esternazioni di questo prolifico erede mafioso. Antonello Cracolici, presidente della commissione regionale Antimafia in Sicilia, ha commentato con un misto di incredulità e fastidio: “Non sentivamo il bisogno di ascoltare le opinioni del figlio di Totò Riina, convinto di spiegarci che uomo buono era suo padre. Non offenda la nostra terra.”
Ha aggiunto, con un tocco di sarcasmo istituzionale, chiedendosi quale tipo di informazione possa essere quella che tenta di rispolverare «verità» clamorosamente smentite dai tribunali, e fatte in nome del popolo italiano. Insomma, un generoso invito a risparmiare spazio e tempo a queste revisioni storiche firmate “famiglia mafiosa”.
In conclusione, una lettura da prendere con una buona dose di scetticismo: quando il figlio di un boss mafioso riscrive la storia paterna trasformandolo in un paladino della giustizia familiare, il futuro della memoria collettiva sembra ancora una volta nelle mani di chi ha scelto da che parte stare…



