Una stella del professionismo così adorata che ammazzarla sembra un mistero da risolvere

Una stella del professionismo così adorata che ammazzarla sembra un mistero da risolvere

Che sia buona o cattiva, la compagnia del padre morto improvvisamente in circostanze assai misteriose non lascia spazio a dubbi: Maurizio Rebuzzini, critico fotografico di fama, era l’incarnazione della bontà e della tranquillità. O almeno così sostiene il figlio, Filippo Rebuzzini, che si ostina a rifiutare anche solo l’idea che qualcuno possa avergli fatto del male, nonostante le ecchimosi sospette trovate sul collo. Certo, roba da poco, giusto qualche livido “da niente” per un uomo di 74 anni trovato esanime nel suo studio milanese in via Zuretti, luogo in cui ha passato più tempo che in casa propria.

Strano poi che proprio un uomo che definisce il padre “una persona buona, lontana dalla litigiosità” finisca in uno studio letteralmente abbandonato a se stesso, senza rispondere a chi gli stava accanto. Ma non preoccupatevi, il figlio filtra i dati e preferisce parlare di altro: della carriera, naturalmente. Perché è proprio questa la parte da esaltare del buon Maurizio. Giornalista, critico, editore e capo indiscusso della rivista FOTOgraphia, fondata nel 1994 e simbolo di prestigio culturale nella fotografia italiana. Un docente rispettato dell’Università Cattolica di Brescia, un esempio di etica e professionalità. Insomma, uno che nel mondo della fotografia era amato da tutti, o almeno così si racconta.

La sua vita? Un monotema fotografico. Nessun ricordo di vacanze rilassanti o weekend lontano da quella lente che era la sua ossessione principale. Sempre immerso nella storia della fotografia, sempre dietro a un articolo, a una nuova idea da sviluppare. Se qualcuno si azzardava a chiedergli un caffè, tutto il resto passava in secondo piano, anche se stava scrivendo un pezzo importante. Un uomo divorato dalla passione al punto da usare la fotografia come metafora universale della vita. “La fotografia non è un punto d’arrivo sterile ma uno splendido punto di partenza, per parlare di tutto”, amava ripetere.

Il dramma vero emerge proprio quando ieri, intorno alle 18.40, Filippo non riceve più risposta dal padre e si preoccupa abbastanza da correre nello studio, solo per trovarlo steso a terra, senza vita, con segni sospetti sul collo che fanno rapidamente volare l’immaginazione verso scenari di violenza. Tentativi di rianimazione falliti, corsa in ospedale al Fatebenefratelli e, poco dopo, il decesso.

Ma fatevi una domanda: in che modo una vita intera, dedicata a “etica” e “professionalità”, si conclude con dubbi più grandi delle certezze? Ma non ci preoccupiamo troppo, qui la priorità è ricordare la professionalità e amicizia che il padre ha saputo costruire nel mondo della fotografia italiana, lasciando dietro di sé una scia di ammirazione che forse un po’ nasconde la realtà tetra di una fine poco chiara.

Filippo Rebuzzini ci tiene a sottolineare, quasi come una sprezzatura consolatoria:

“Purtroppo la fotografia italiana ha perso un grande professionista e una grande persona”.

Siamo SEMPRE qui ad ascoltarvi.

Vuoi segnalarci qualcosa? CONTATTACI.

Aspettiamo i vostri commenti sul GRUPPO DI TELEGRAM!