Malattie croniche intestinali: come convincere davvero medici e pazienti a fare ciò che serve senza perdere la pazienza

Malattie croniche intestinali: come convincere davvero medici e pazienti a fare ciò che serve senza perdere la pazienza

Una delle grandiose priorità nel campo delle malattie infiammatorie croniche intestinali, pardon, Mici, è senz’altro l’aderenza terapeutica. Perché, nonostante la scintillante parata di trattamenti ultramoderni e armi farmaceutiche di ultima generazione, la gente fatica decisamente a stare al passo con la routine noiosa di terapie prescritte. Risultato? Riacutizzazioni che fanno capolino fino a cinque volte di più, una qualità della vita che scende più velocemente di un ascensore rotto e un sistema sanitario che si barcamena tra spese extra e crisi di nervi.

Per affrontare questa creatura mitologica chiamata “aderenza”, è nato il luminescente consensus paper dal titolo interminabile Therapeutic adherence in inflammatory bowel disease: user guide from a multidisciplinary modified Delphi consensus. Insomma, una specie di manuale d’istruzioni destinato sia ai medici, affaticati da pazienti distratti, sia ai pazienti stessi, sperando che lo leggano davvero – magari tra una crisi e l’altra. Dietro a questa fantastica iniziativa c’è il gruppo super selezionato di un panel multidisciplinare, rigorosamente coordinato dalla vampiresca Ferring Italia, perché senza industrie farmaceutiche tutto si complica.

Il documento, presentato – manco a farlo apposta – nel frenetico e sempre accogliente capoluogo meneghino, Milano, è il frutto di un’orgia collaborativa fra 33 gastroenterologi italiani d’élite, uno psicologo per dare quel tocco di empatia, e addirittura un rappresentante dell’associazione Amici Onlus, quei coraggiosi che visibilmente combattono per i malati di Mici. Il testo si pavoneggia di 12 statement certificati e offre un bouquet di raccomandazioni operative che promettono di facilitare quel faticoso passo chiamato aderenza terapeutica, con l’obiettivo nobile di personalizzare la cura come fosse un abito su misura, migliorare l’efficacia (speriamo) e salvaguardare il povero sistema sanitario, sempre sull’orlo del baratro.

Il metodo usato per questa operazione degna di uno psicodramma accademico è quello del Delphi modificato, un meccanismo di confronto che coinvolge esperti in una sorta di salotto allargato, mezzo scienza mezzo chiacchiera, con l’obiettivo di scovare le barriere invisibili all’aderenza e identificare i pazienti più a rischio. Non manca la raffinata strategia di coinvolgimento dei pazienti stessi, che sono stati sottoposti a un’indagine da parte di Amici Onlus tra febbraio e giugno 2024. Proprio così, oltre 800 persone con Mici hanno accettato di testimoniare le loro fragilità, svelando che età avanzata, un fisico che scricchiola e l’assenza di una rete di supporto sono i veri nemici del buon rispetto terapeutico.

Salvo Leone, il direttore generale di questa eroica realtà chiamata Amici Italia, getta luce sulla tragedia quotidiana che si cela dietro agli adesivi delle medicine da prendere puntualmente:

“Dietro ogni terapia ci sono storie di vita, scelte quotidiane, sfide silenziose. I pazienti ci raccontano quanto possa essere complesso seguire una cura in modo continuativo, soprattutto quando si è soli, anziani o alle prese con più patologie. Non è solo una questione clinica, ma profondamente umana: aderire a una terapia significa credere in un futuro possibile, sentirsi accompagnati, avere fiducia. Per questo dobbiamo costruire percorsi che vadano oltre la prescrizione, capaci di mettere davvero la persona al centro, ascoltandone le esigenze, rispettandone i limiti, valorizzandone le risorse.”

Che visionario! Insomma, non basta più dire «prendi la pillola», serve costruire una vera e propria epopea emotiva, un’alleanza indissolubile tra medico e paziente, che sappia superare la sterile burocrazia e raggiungere il cuore pulsante di chi convive con una malattia invisibile ma invadente. Una rivoluzione copernicana che, evidentemente, solo dopo 33 esperti, uno psicologo, un’associazione pazienti e una bella indagine tra oltre 800 persone si è sentita la necessità di formalizzare.

E così, tra belle parole e dichiarazioni di buon senso, si spera che questa guida non finisca in un cassetto polveroso, ma diventi il faro luminoso per orientare un mondo terapeutico più umano, concreto e, perché no, finalmente aderente.

Che sorpresa! Tra il 30% e il 60% dei pazienti decide di non seguire le indicazioni terapeutiche come prescritti. Non solo, questa “piccola svista” aumenta fino a 5 volte il rischio di riacutizzazioni della malattia e fa schizzare alle stelle i costi sanitari. Ma perché preoccuparsi? Dopotutto, chi ha bisogno di terapia efficace quando si può vivere nell’incertezza?

Secondo Alessandro Armuzzi, responsabile dell’Unità operativa Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali dell’Irccs Istituto Clinico Humanitas di Milano, la scarsa aderenza terapeutica è come un’anomalia trascurata che in realtà rovina la festa clinica e sociale. Eh sì, perché sembra correlare magicamente la progressione della malattia all’aumento delle riacutizzazioni e, proprio per magia, a un peggioramento della qualità della vita dei pazienti. Ovviamente, la soluzione in stile “fumetto Disney” è semplice: trattare il paziente come un essere umano, anzi, costruire un percorso sostenibile, condiviso e soprattutto accessibile. Facile no?

Immaginate un documento che in ben 12 punti regali consigli illuminanti per affrontare la pratica clinica quotidiana. Nel prezioso testo si raccomanda agli operatori sanitari di scovare i pazienti a rischio di “disobbedienza” terapeutica, migliorare la comunicazione con loro e – ciliegina sulla torta – semplificare i regimi terapeutici. Attenzione, il 75% dei pazienti preferisce il trattamento orale: non perché sia meglio o più efficace, ma perché, evidentemente, prendere una pillola è meno complicato di dover fare mille altre cose.

Non basta? Ridurre dosi e frequenze, dicono le stime, aumenterebbe l’aderenza del 20-40%, soprattutto nei casi di politerapie o comorbidità. Oh, questa sì che è una scoperta rivoluzionaria: meno complicazioni = più pazienti che fanno il bravo! Ma andiamo avanti, perché il documento funge da bussola per orientare scelte cliniche e creare percorsi terapeutici “più sostenibili e personalizzati”. Ovvero, non solo il paziente deve sentirsi amato, ma anche la sua terapia deve diventare una passeggiata, senza contare il beneficio per il sistema sanitario, sempre desideroso di meno spese.

Nel grande concerto dell’aderenza, la comunicazione tra medico e paziente è la stella del palco. Non è mica poca roba: il supporto psicologico, poco noto ai più, può migliorare l’aderenza fino al 30% e ridurre le riacutizzazioni del 40%. Sembra quasi magia, ma è solo frutto di una comunicazione chiara, empatica e personalizzata che dovrebbe, udite udite, far comprendere le indicazioni mediche e rafforzare la fiducia nel percorso di cura. Insomma, chi l’avrebbe mai detto che parlare con il paziente aiuta?

Non solo comunicazione, però: stili di vita, supporto motivazionale e interventi comportamentali sono all’ordine del giorno per far integrare la terapia nella vita. David Lazzari, direttore dell’Uoc Psicologia di Terni e past president del Consiglio nazionale dell’Ordine degli Psicologi, ce lo dice in modo molto chiaro: il medico non può limitarsi a scrivere una ricetta come fosse un appunto, deve costruire un’alleanza terapeutica fatta di ascolto attivo, empatia e… udite bene, una comunicazione personalizzata. Tolti questi elementi, pare proprio che la cura non funzioni come sperato.

Non ci si ferma mica qui! Adattare il linguaggio in base all’età, alla comprensione e alle eventuali difficoltà cognitive, assicurare il supporto psicologico quando serve: una sfilata di buone intenzioni che, neanche a dirlo, migliorano la qualità della cura e l’effettiva adesione del paziente. Bella scoperta, vero?

Il tutto nasce dall’estro di Ferring, apparentemente generosa nel voler migliorare l’aderenza terapeutica nelle malattie infiammatorie croniche intestinali (Mici), puntando su ascolto, evidenza e condivisione multidisciplinare. Tommaso Salanitri, direttore medico di Ferring Italia, ci ricorda l’enorme sfida che significa gestire patologie croniche. Più che una sfida sembra una partita di scacchi a mani legate: unire specialisti, pazienti e ricercatori per costruire una guida utile alla pratica clinica quotidiana.

Secondo Salanitri, solo abbracciando un modello di cura “più centrato sul paziente,” più efficace per i clinici e – ovviamente – più sostenibile per il sistema sanitario, si può pensare di affrontare il problema. In poche parole: l’aderenza alla terapia non può essere lasciata al caso, ma va perseguita con strumenti, semplificazioni terapeutiche e una comunicazione degna di questo nome. Solo così, conclude trionfalmente, “le terapie potranno esprimere tutto il loro potenziale a beneficio dei pazienti”. Che poesia.

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