A ben vent’anni dall’emissione della legge che avrebbe dovuto garantire giustizia, finalmente si rende operativo quel gioiellino burocratico chiamato fondo per il risarcimento di azionisti Cirio, Parmalat e dei disperati possessori dei famigerati bond argentini. Il meccanismo, lanciato come una stella polare con l’articolo 1, comma 343, della legge 266/2005, fa il suo ingresso trionfale in Gazzetta Ufficiale il 12 settembre 2025, con una modesta ma scintillante dotazione di 204,5 milioni di euro. E da dove provengono queste incredibili risorse? Dai “conti correnti dormienti prescritti”, cioè quei soldi dimenticati in qualche cassetto digitale.
L’ambizioso obiettivo? Ristabilire un’improbabile parvenza di equità risarcendo – udite udite – solo una parte di chi ha patito un “ingiusto danno patrimoniale” legato ad azioni o obbligazioni di società ormai etichettate come truffatrici o fallite in modo fraudolento. Senza dimenticare i ventilati risarcimenti per chi ha perso tutto con il default dei “tango bond” argentini, quei titoli mitici diventati leggenda per le loro perdite. Ovviamente, per accedere al salvifico ristoro, bisogna dimostrare di aver subito il danno prima del 2006, e non con una semplice parola, ma con una sentenza civile o penale irrevocabile (così, per fare le cose serie), o con un lodo arbitrale imprecabile. Ah, il premio? Un generoso 50% del capitale investito, ma occhio a non esagerare: il tetto massimo è di 20mila euro netti, al netto di qualsiasi altra moneta già messa sul piatto. E voilà, la Consap si prenderà cura, con i suoi tempi infiniti, di gestire le domande che saranno accettate – sostengono – solo online, con 180 giorni per sfornare la tanto attesa piattaforma telematica.
A ricordarci quanto sia stata un’epopea degna di un romanzo storico è Patrizio Miatello, presidente di un’associazione poco anonima: Ezzelino III da Onara, creatura nata dal naufragio delle Popolari venete. Miatello puntualizza che questo fondo si appoggia su precedenti “trionfi” legislativi, come la Legge 205/2017 e il FIR (Fondo Indennizzo Risparmiatori, Legge 145/2018), oltre che su una bestemmia giudiziaria, pardon, una sentenza recente del Consiglio di Stato di gennaio che ha miracolosamente sbloccato un iter incagliato da anni nelle sabbie mobili amministrative.
Naturalmente, non potevano mancare le tanto attese ombre e incompiutezze, che animano le implacabili associazioni dei risparmiatori truffati. L’indennizzo, da cocktail di solidarietà, si rivela essere piuttosto un brindisi modesto: non solo è limitato, ma lascia fuori più di qualche migliaio di sventurati esclusi anche dal FIR, in particolare tra quelli travolti dalle liquidazioni bancarie del periodo 2015-2017. In uno spettacolo di logica imbarazzante, Miatello definisce “inaccettabile” questa sovrapposizione di cifre: i 204,5 milioni stanziati sono gli stessi che il FIR non ha mai ridistribuito a chi invece avrebbe davvero bisogno. Ma che memoria corta che abbiamo, eh?
Non sarà questo il finale lieto della saga. L’associazione di Miatello promette battaglia: pretende un nuovo fondo, stavolta democratico e inclusivo, aperto a tutte le vittime di truffe finanziarie. E non un risarcimento da quattro soldi, ma un indennizzo minimo del 95%, senza quei fastidiosi tetti massimi che rendono tutto tanto più “parziale”. Una scintilla di speranza, forse, in un labirinto di promesse e rinvii che sembra un eterno deja-vu.



