Chi avrebbe mai detto che scattare foto spensierate al mare o in città potesse trasformarsi in un incubo digitale degno di un romanzo noir? Un 22enne dell’hinterland Sud-Est di Milano ha deciso di fare il furbo, rubacchiando immagini dai profili social di una ventina di ragazze, per poi trasformarle in star – involontarie – di un sito pornografico. Peccato che questo “progetto artistico” abbia indotto la procura di Milano a metterlo sotto accusa per accesso abusivo a sistemi informatici, diffamazione e violazione della privacy.
Non stiamo parlando di uno scherzetto da adolescenti annoiati: ben venticinque giovani donne, di età compresa tra i 17 e i 24 anni, si sono ritrovate vittime di questo pasticcio digitale. La giustizia, da buona sentinella, ha subito agito con una perquisizione, portando via cellulari e computer del giovane sospettato con l’intento di scovare tutto l’armamentario di file, foto e video, magari ancora più compromettenti, e soprattutto capire se ci fossero complici in questa surreale vicenda da incubo social.
Le venticinque ragazze, tutte residenti nei comuni attorno a Milano, hanno scoperto questa sgradevole faccenda nel marzo dell’anno precedente. Come in una trama da film, è stato un tam tam tra amici e conoscenti a svelare il segreto: i loro scatti privati erano magicamente approdati su un sito pornografico. Ecco la ciliegina sulla torta: alcune immagini erano state prese da profili Instagram addirittura chiusi al pubblico, rubate senza alcun permesso, e in molti casi abbinate a contenuti sessuali espliciti – manco fosse la nuova tendenza social.
La dignità e la riservatezza di queste ragazze? Persi da tempo in questa bizzarra manipolazione digitale. Per aggiungere grottesca ironia al tutto, il 22enne si è fatto prendere la mano e ha addirittura pubblicato due video in cui, sullo sfondo di un cellulare con la foto di una vittima, un uomo si dedica a un atto di autoerotismo. Insomma, un capolavoro di cattivo gusto e illegalità.
Da social a schifo: la privacy violata in nome del voyeurismo
Il caso non è soltanto emblematico per il gesto ignobile, ma anche per la dimostrazione plastica di quanto sia fragile la privacy nel mondo contemporaneo. La facilità con cui un giovane possa accedere, sottrarre e diffondere immagini private, senza il benché minimo consenso, mette in discussione gli stessi meccanismi di sicurezza delle piattaforme social, oltre a uno strano senso morale ormai andato a farsi benedire.
Del resto, in un’epoca dove tutto è condiviso al consumatore digitale senza filtri, la linea tra pubblico e privato diventa sempre più labile – e per qualcuno, evidentemente, c’è l’ardire di oltrepassarla e farne un business indecoroso.
Un altro esempio lampante di come la tecnologia, invece di tutelare le persone, possa essere mal utilizzata e abusata per ledere diritti fondamentali, mentre si aspetta una qualche forma di intervento serio, organizzato e soprattutto efficace da parte delle istituzioni e delle piattaforme stesse. Ma si sa: intervenire concretamente è complicato e richiede più di un banale click.
Vittime invisibili e responsabili sfuggenti
Il giovane protagonista di questa triste vicenda non sembra accorgersi minimamente della portata devastante delle sue azioni. E come spesso accade in questi casi, dietro allo schermo ci si sente invincibili e immune a pene o rimorsi. Ma l’indagine in corso ricorda che la legge, per quanto lenta e imperfetta, non dorme.
Le vittime di questa trama inquietante sono tante e spesso rimangono nell’ombra, subendo in silenzio un danno di immagine, emotivo e sociale non facilmente quantificabile. E mentre qualcuno si diverte a costruire un impero di immagini violate, le istituzioni cercano di inseguire l’incalzante ritmo del digitale, spesso un passo indietro di fronte a fenomeni che evolvono con geometrica rapidità.
In conclusione, questa storia è la cartina al tornasole di un problema che la società italiana e non solo deve affrontare con urgenza: la tutela concreta della privacy, il rispetto della dignità altrui e un uso consapevole e rispettoso del digitale, o diventeremo tutti star a nostra insaputa in qualche indegno sito nascosto tra le pieghe della rete.



