Sulmona si supera: due ragazzi si vendicano online dopo aver violentato una dodicenne

Sulmona si supera: due ragazzi si vendicano online dopo aver violentato una dodicenne

Una dodicenne sarebbe stata vittima di una doppia “magnanimità”: prima vittima di stupro da parte di un diciottenne e di un quattordicenne, poi protagonista involontaria dello show social più indecente dell’anno, con il video dell’abuso spedito in giro su Whatsapp. Tutto questo succede nel cuore “tranquillo” di Sulmona, provincia de L’Aquila. Ovviamente, senza stupirsi troppo, la tragedia è stata riportata dai giornali che, con il loro tipico tatto, ci regalano l’ennesima prova di come il dramma diventi cronaca facile.

La giovane vittima, come funziona ormai nei migliori copioni, ha avuto la forza di denunciare l’orribile esperienza ai suoi genitori. Questi ultimi, armati di coraggio e probabilmente di un filo di speranza che la giustizia possa davvero fare il suo corso, hanno bussato alla porta dei Carabinieri di Sulmona. I militari si sono messi all’opera e, diligentemente, hanno perquisito case, sequestrato telefoni e computer di entrambi gli indagati, pronti a scoprire quale altro dossier digitale possa donare qualche minuto di notorietà a questa tragica vicenda.

Il caso ha subito attirato l’attenzione non solo degli inquirenti locali, ma anche della più alta istanza giudiziaria, ovvero la Procura dei Minori insieme a quella di Sulmona. E qui si gioca la partita serio-serissimo: i capi d’accusa sono da brividi e da bollettino nero – violenza sessuale aggravata e revenge porn, un cocktail perfetto per ricordarci che i tempi moderni complicano finanche le tragedie più atroci.

Come ciliegina sulla torta dell’ipocrisia, la vittima riceverà il massimo della protezione possibile: sarà ascoltata in modalità “protetta” con psicologi e assistenti sociali a vegliare su di lei, come se bastasse qualche accompagnamento terapeutico a sanare l’orrore.

Insomma, riepilogando: mentre la dignità della giovanissima viene pubblicamente calpestata, i colpevoli possono sperare che qualche elemento digitale venga utilizzato come prova, ma non prima di aver sciacquato le loro coscienze (se è rimasta qualche briciola) tra indagini e burocrazia.

Quando la legge e le parole si scontrano con la realtà

Sembra quasi paradossale che una società che si proclama civile debba ricorrere a protocolli protettivi per ascoltare la testimonianza di una ragazzina di appena dodici anni, mentre il video più brutale della sua vita gira come una cartolina digitale tra smartphone che rischiano di diventare tribunali sommari.

La vicenda, oltre a essere una ferita personale, si trasforma in uno specchio sconcertante di un tempo dove il confine tra privato e pubblico si dissolve miseramente, e dove il dolore umano diventa merce da consumare, condividere e giudicare. Nel frattempo, l’iter giudiziario si snoda con perquisizioni e sequestri che rispettano la forma, ma forse sembrano soltanto il palcoscenico per un processo lento e vagamente distante dall’urgenza imposta dal dramma.

Potrebbe essere un episodio isolato? Purtroppo no. È la fotografia nitida di come l’abuso, l’impunità e il voyeurismo digitale convivano in un clima sociale che, anziché proteggere i più vulnerabili, sembra talvolta favorire la spettacolarizzazione più crudele della violenza.

E se qualcuno pensa che la soluzione sia solo nelle mani della legge e dei tribunali, si ricreda: la vera rivoluzione dovrebbe partire da un cambio radicale di mentalità, da una presa di coscienza collettiva che smetta di alimentare la catena di sofferenze e sia pronta a spezzare il silenzio con decisione e senza ipocrisie.

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