Baby Gang, o meglio Zaccaria Mouhib per gli amici dell’anagrafe, si gode l’ospitalità carceraria di Milano dopo l’arresto avvenuto due giorni fa nella sua stanza d’albergo. Il motivo? Teneva con sé una pistola con matricola levigata, accompagnata da ben nove cartucce. Ma non temete: quella non è l’unica arma a disposizione del trapper, visto che altri pezzi sono stati scoperti nella sua modesta dimora di Calolziocorte, a Lecco. Ovviamente, queste armi aggiuntive saranno oggetto di indagini ancora più approfondite, perché si sa, i giovani artisti emergenti cercano sempre quel tocco di legalità in più.
Il ventiquattrenne, fulcro di un’indagine condotta dalla Procura di Lecco per un presunto traffico di armi che ha già portato a quattro arresti, sembra proprio non capire che stare nei guai non è un hobby.
Il giudice non ci sta: “Solo il carcere può contenere Baby Gang”
La giudice per le indagini preliminari di Milano, Fiammetta Modica, ha deciso che il miglior trattamento per Baby Gang è quello carcerario. Il motivo? Una “assoluta indifferenza” ai provvedimenti giudiziari che sembra rendere ogni tentativo di libertà vigilata una barzelletta senza fine. Infatti il trapper, non contento di violare le misure cautelari, ha infranto anche prescrizioni legate alla sorveglianza speciale e al foglio di via obbligatorio. Un curriculum criminale senza eguali.
L’ironia della vicenda? Proprio la sera del 10 settembre, poche ore prima dell’arresto, Baby Gang aveva ottenuto un’autorizzazione speciale dal Tribunale di Milano per esibirsi sul palco di Assago come ospite di Emis Killa, ancora una volta mosso dalla nota finalità “risocializzante” della musica rap. Peccato che la legge si dimostri così indulgente con chi si diverte a infrangere ogni regola, consentendogli di “svolgere la propria attività professionale” praticamente a dispetto delle sbarre che lo attendevano.
La signora Modica non le manda a dire, definendo il rapper “un sorvegliato speciale con una lunga lista di precedenti a tema armi e reati contro la persona, consumati tra l’altro anche con l’uso di pistole”. A chiudere il quadro, una previsione molto rassicurante per il futuro: “esiste un elevatissimo rischio di reiterazione criminale, specialmente per quanto riguarda l’uso e la detenzione di armi”. Quindi, signore e signori, il nostro artista preferito non solo ama infrangere la legge, ma sembra intenzionato a continuare su questa strada a tutto gas.
Baby Gang: l’innocua scacciacani per difendere il prezioso bijoux
Ora, veniamo alla difesa che sarebbe quasi comica se non fosse tragica. Baby Gang racconta una storia da romanzo criminale: a giugno, dopo un concerto a Sesto San Giovanni, ladri avrebbero fatto visita alla sua casa di Calolziocorte. Lui, in versione supereroe metropolitano, li avrebbe trattenuti a forza (per la gioia dei ladri che lo hanno denunciato per sequestro di persona, perché sì, è quel tipo di situazione grottesca).
Nel suo arsenale di scuse, l’elemento di punta è una collana che — a suo dire — vale più di 200.000 euro. Per proteggerla, ieri ha deciso di lasciare la sua arma “in hotel” a Milano. Ora state tranquilli: non è una pistola vera, ma una scacciacani, e per giunta modificata. Quel dettaglio della matricola abrasa, ovviamente, è un piccolo particolare da dimenticare.
Un’arma modificata, un sospetto traffico, precedenti che fanno invidia a tanti veterani della galera e un protagonista che sembra vivere nella convinzione che le regole siano una roba inventata per altri, ma non per lui. Nel frattempo, il carcere lo aspetta pazientemente: per fortuna almeno lì le sue scacciacani non lo proteggeranno da nulla.
«Non avevo nessuna intenzione di giocare a cow-boy in città, ma diciamolo: avere paura di essere derubato non è certo una novità per chi si muove con una collana luccicante al collo e qualche dubbio in tasca.» Così si giustifica il trapper Baby Gang, nome d’arte di Zaccaria Mouhib, durante il suo interrogatorio di garanzia avvenuto nel famigerato carcere di San Vittore. Accusato di possesso illegale di arma e ricettazione, il giovane rapper non ha certo convinto la giudice Fiammetta Modica, che ha pensato bene di fargli compagnia tra le sbarre.
A quanto pare, il sacro diritto alla “protezione personale” includeva una pistola arrugginita, nascosta con cura sotto un macchinario di una fabbrica. Niente di nuovo sotto il sole: quando ti senti insicuro, meglio tenersi l’arma pronta, anche se ha visto giorni migliori e giace dimenticata da un bel po’. E magari appena prima del concerto, la si sposta in hotel, ché non si sa mai.
Baby Gang continua la sua odissea di giustificazioni:
«Stavo lì con una ragazza che non conoscevo bene, e più che altro temevo per la mia collana. Sono sicuro che farebbero di tutto per prenderla. L’arma l’avevo per tutela personale.»
Aggiungiamo un dettaglio da non sottovalutare: oltre alla pistola arrugginita spostata tra albergo e fabbrica, nella sua abitazione nel Lecchese ne sono state trovate altre due, a testimonianza che la paranoia del «proteggersi dai ladri» ha almeno tre canne da fuoco come effetto collaterale. Chissà se è la collezione personale o la linea di difesa contro un mondo evidentemente ostile.
Il coraggio del trapper e la sicurezza da film
Ora, lasciamo da parte il fatto che il possesso di armi clandestine sia, per definizione, un reato: qui il nostro protagonista si gioca la carta della paura sociale, ben sapendo che un ragazzo che suona rap e sfoggia gioielli è una preda appetibile per ogni delinquente da quattro soldi. La soluzione? Tenerle tutte in casa, senza alcuna autorizzazione, senza spiegare come le ha ottenute e senza pensare che la legge possa intervenire.
Il sistema giudiziario non ha tardato a far pesare la sua presenza, dimostrando di non essere un fan della violenza privata o del vigilantes improvvisato. Prevedibile? Forse. Eppure, la disinvoltura con cui si giustifica il possesso di armi paterne è la cartina di tornasole di un’insicurezza dilagante, ma soprattutto di un atteggiamento disarmante — o disarmato — di fronte alle regole.
La domanda rimane: se vuoi davvero “proteggerti” con un’arma, sei pronto a pagarne il prezzo? A quanto pare, per Baby Gang, la risposta è sì. Peccato che nel gioco delle pistole, le regole sono una cosa seria e non ammettono scuse da rapper in crisi d’identità.