Valutare l’impatto dell’intelligenza artificiale sull’apprendimento degli studenti di Medicina: niente meno che un salto nell’ignoto con tanto di prova scientifica rigorosa. Questo è il brillante scopo di Ai-learn@Sapienza, il nuovo studio affascinante, promosso da quella che tutti conosciamo come l’Università La Sapienza di Roma. Un progetto dove tecnologia futuristica e lezioni tradizionali si sfidano in un’aula di realtà aumentata, o meglio, “avatar aumentati”.
Il siparietto partirà a ottobre e sarà qualcosa di davvero epico: 50 studenti divisi in due squadre. Da un lato, il gruppo fortunato che potrà contare su un professore-robot animato da intelligenza artificiale, capace di fare discorsi quasi naturali e distribuire feedback personalizzati. Dall’altro, gli irriducibili della didattica old school, costretti a fare affidamento solo ai metodi antichi e al caro vecchio manuale. Entrambi i gruppi dovranno poi confrontarsi con un paziente-avatar, ovviamente virtuale ma diabolico, incaricandosi di risolvere un caso clinico complesso, giusto per mettere un po’ di pepe alla sfida.
I criteri di valutazione? Roba scientifica e trasparente, mica giochi. Si quantificherà tutto: dalla capacità di aprire il cervello clinico agli errori di diagnosi, passando per la velocità con cui si gestiscono gli imprevisti e simpaticamente anche la soddisfazione degli studenti stessi, forse l’elemento più imprevedibile di tutti.
L’ateneo non lesina complimenti sul progetto, definendolo una “iniziativa pionieristica” nel panorama italiano, dove finalmente l’intelligenza artificiale non è solo una parola altisonante ma un vero strumento concreto per misurare l’efficacia di un modello didattico tutto nuovo. Innovazione, scienza e un pizzico di audacia si incontrano per aggiornare, finalmente, la scuola di Medicina.
Il progetto, naturalmente calato nel più ampio contesto della medicina personalizzata, gode del sostegno ufficiale della rettrice Antonella Polimeni e della prorettrice alla Didattica Ersilia Barbato. La prima, tutta orgoglio, ha dichiarato:
“Ai-Learn@Sapienza è una sfida che unisce innovazione tecnologica, rigore metodologico e una visione dall’ampio respiro internazionale. Un passo concreto verso una formazione medica più personalizzata, coinvolgente e basata su solide evidenze scientifiche.”
Se pensavate però che la scienza si esprimesse solo al microscopio o in corsia, vi sbagliate di grosso. Paolo Marchetti, professore e presidente della Fondazione per la Medicina Personalizzata, ha puntualizzato con altrettanto orgoglio quanto il rigore metodologico possa tranquillamente entrare in aula, spiegando:
“Non stiamo parlando di un semplice esperimento didattico ma di uno studio scientifico a tutti gli effetti applicato alla formazione. Vogliamo capire con dati alla mano se l’intelligenza artificiale sia davvero in grado di migliorare l’apprendimento degli studenti di Medicina. Insomma, un vero banco di prova per queste tecnologie, che dovranno integrarsi in modo efficace e, perché no, responsabile.”
Il percorso di Ai-Learn si articolerà in tre fasi precise: progettazione, sperimentazione e poi, finalmente, valutazione finale, prevista per la primavera del 2026. Nel frattempo, si tireranno le somme e, si spera, si potrà replicare questo modello innovativo anche altrove, perché a quanto pare stiamo per rivoluzionare l’insegnamento della Medicina. Finalmente.
Finalmente un miracolo tecnologico che si propone di rivoluzionare l’antica e sacrosanta arte di insegnare medicina: ecco a voi Ai-Learn, un progetto che promette di intrufolarsi nei corsi di laurea in Medicina con la pretesa, niente di meno, di aprire la strada a futuri “testimoni” europei e a una sfilza di bandi di ricerca che suonano più come un festival dell’autocompiacimento. Perché, si sa, nulla dice innovazione come infilare un algoritmo tra professore e studente.
L’obiettivo magnifico, a detta di Andrea Botticelli, il prof in prima linea e mente scientifica del progetto, non è certo quello di sostituire il classe docente (non temete, umani!), bensì di “arricchirne il ruolo” regalando agli studenti strumenti che, magicamente, saranno “innovativi, interattivi e personalizzati.” Non chiedeteci esattamente in che modo, ma la promessa c’è tutta. E se poi dovesse funzionare (ché di sicuro la scienza dell’intelligenza artificiale ha sempre un margine di errore da capogiro), si pensa addirittura di esportare il modello, magari pure in quelle discipline meno fortunate dove le risorse scarseggiano, in un audace esperimento di trasformismo tecnologico in salsa educativa.
Insomma, la vera sfida è “mettere alla prova l’innovazione con gli strumenti della ricerca”. Tradotto: solo affidandoci al freddo verbo dei dati potremo finalmente avanzare nel sacro mondo della didattica universitaria, lasciandoci alle spalle le secolari palle d’acqua e gesso. Ma tranquilli, questa benedetta indagine si svolge sotto l’egida della mitica Facoltà di Medicina e Odontoiatria di Sapienza, diretta da Domenico Alvaro, giusto per aggiungere un tocco di autorità accademica a questa corsa verso il futuro.
Ad arricchire questa epopea scientifica c’è poi la collaborazione con ctcHealth, una brillante azienda internazionale – perché altrimenti non si può – specializzata nell’applicare l’intelligenza artificiale all’universo farmaceutico e sanitario. Il quartetto dei saggi tecnologici vede come protagonisti Thomas Mrosk e l’italiano Manuel Mitola, che probabilmente stanno già immaginando applausi e inviti ai forum globali mentre si sorseggiano un caffè.
Innovazione o degenerazione educativa?
È naturale chiedersi se questo connubio tra intelligenza artificiale e insegnamento non sia la classica storia dell’uovo e la gallina: chi arricchisce chi, e soprattutto a quale prezzo? Mentre ci si vende il futuro come un pacchetto hi-tech, la domanda è se gli studenti diventeranno davvero medici più preparati o solo adepti di uno schermo che decide cosa imparare e come.
Si parla tanto di personalizzazione e interattività come panacea di tutti i mali didattici, ma se il docente perde la sua aurea protagonista nelle aule, non rischiamo di trasformare le lezioni in una chat con risposte preconfezionate? Innovazione, sì, ma con un minimo di senso critico, per piacere.
Un esperimento da cartellino giallo o una vera svolta?
Naturalmente, non si può negare il fascino di un progetto così ambizioso nel cuore di una delle più prestigiose istituzioni accademiche italiane. Ma attendere i risultati questi scienziati della didattica 4.0 dovranno. Per ora, possiamo solo assistere al balletto di conferenze stampa e note orgogliose, con la speranza che non tutto si riduca a un esercizio di stile e spesa pubblica.
Intanto, sarà curioso osservare se questa voglia spasmodica di digitalizzare e robotizzare l’insegnamento riuscirà davvero a svecchiare un sistema spesso ingessato, o se produrrà l’ennesima declamazione sulla “nuova frontiera” da cui alla fine si tornerà indietro.
Nel frattempo, censiamo con entusiasmo ogni volta che una nuova sigla di intelligenza artificiale si impadronisce dei palazzi universitari, perché nulla dice “rivoluzione” come un algoritmo vestito da professore.