Secondo l’ormai ben noto dettame dell’OMS, l’aderenza terapeutica è quel magnifico comportamento che dovrebbe vedere il paziente seguire pedissequamente le raccomandazioni del medico. Un ideale, va detto, che nel mondo reale si schianta miseramente contro la dura realtà: nei casi di malattie croniche, ben il 50% dei pazienti riesce con grande talento a ignorare o tradire le prescrizioni. Ma non è tutto: l’aderenza scarsa non è solo un piccolo fastidio individuale, ma un macigno economico colossale. Nel continente europeo, questa “apertura artistica” nell’assunzione di farmaci costa la bellezza di 125 miliardi di euro ogni anno, tra ricoveri ospedalieri, visite ambulatoriali e altre cure supplementari. In Italia, poi, la scarsa aderenza sfiora i 16 miliardi di costi diretti e altri 5 miliardi invisibili sotto forma di costi indiretti. Insomma, un vero e proprio buco nero nelle casse della sanità pubblica.
Ma c’è di più: se una volta questo problema era confinato a malattie classiche come quelle cardiovascolari o metaboliche, oggi il flagello si propaga spietatamente nel delicato mondo dell’oncologia. E come darle torto? La complessità dei trattamenti oncologici insieme agli odiati effetti collaterali sembrano ideali per far desistere i pazienti dal rispettare le prescrizioni in maniera regolare e precisa.
Il tutto è stato brillantemente celebrato in un convegno nazionale, giusto per non lasciar cadere il tema nell’oblio, dal titolo roboante ‘Aderenza terapeutica nei pazienti cronici e oncologici: adesione alle prescrizioni, misurazione soggettiva ed oggettiva’. Evento multidisciplinare, organizzato dall’associazione che riunisce con tutta la dovuta nobiltà gli oncologi, cardiologi ed ematologi, il tutto con il generoso sostegno – ovviamente non condizionato – di un gruppo farmaceutico noto, perché altrimenti che convegno sarebbe?
Francesco Cognetti, presidente di questa federazione, ci offre la sua illuminante visione del dramma:
“Il cancro è ancora percepito come una malattia gravissima e potenzialmente letale, il che influenza il decorso delle terapie in modi a volte sorprendenti, sia in positivo che in negativo. Prendiamo il tumore del colon-retto, uno dei più comuni in Italia, con oltre 48mila nuovi casi annuali fra uomini e donne. Qui il tasso di non aderenza supera abbondantemente il 40%, influenzato da un mix esplosivo di fattori clinici, psicologici e sociali. Per fortuna, anche nella sfortunata fase metastatica, ci sono farmaci orali molto efficaci e ‘comodi’, che si possono assumere a casa e migliorano la sopravvivenza. Ma indovinate? È cruciale rispettare scrupolosamente le modalità di assunzione indicate dagli specialisti. E la ricetta per favorire questa aderenza è un approccio personalizzato e, soprattutto, multidisciplinare: oncologi, chirurghi, radioterapisti, infermieri e psicologi tutti in coro per creare strategie vincenti.”
Insomma, si tratta di un’epopea di collaborazioni che, a detta degli esperti, può salvare vite e risparmiare quel famoso po’ di miliardi di cui sopra, trasformando un inferno di dimenticanze e resistenze in un’oasi di precisione terapeutica. E un altro bel motivo per continuare a organizzare convegni, spillare fondi e rimanere tutti ben impegnati in simili dibattiti accademici, perché, come si sa, nessuno ama farsi mancare il proprio momento di gloria – neppure quando le soluzioni sembrano già scritte.
Come se non bastassero le patologie croniche a rovinare la vita agli anziani del vecchio Continente, ecco arrivare la favola della “ricerca e innovazione” che, manco a dirlo, promette qualità di vita migliori. Come se bastasse una nuova terapia per trasformare i quasi 14 milioni di over 65 italiani in un esercito di super anziani invincibili. Ovviamente, per essere davvero efficaci, i pazienti devono assumere puntualmente i farmaci, altrimenti tutto questo spettacolo si riduce a un gioco di illusioni.
Graziano Onder, direttore scientifico della Società europea di geriatria, si è affrettato a ricordarci che il nostro Bel Paese è ormai la star dell’invecchiamento, con un robusto 60% di ultrasessantacinquenni che, guarda un po’, convive con almeno una malattia cronica. E, naturalmente, quasi tutti sono a rischio di qualche malattia fatale, perché si sa, non esiste anziano senza il suo bel pacchetto di sfortune sanitarie.
La soluzione? Nuove terapie e tanta, tanta adesione al trattamento. Un invito gentile a ingurgitare pillole senza fare storie e senza dimenticare neanche uno di quei fastidiosi appuntamenti medici che ti fanno sentire più un robot che un essere umano.
Il diabete, il vero eroe della terza età
E poi arriva Dario Manfellotto, presidente di una fondazione dal nome chilometrico, a ricordarci che non tutto invecchia bene: il diabete è la star negativa del party, con oltre 4 milioni di italiani alle prese con questa compagnia sgradita che, guarda caso, salirà a 5 milioni entro il 2030. Che bello, una piaga che cresce mentre noi invecchiamo! Ma tranquilli, la parte più divertente sono le complicazioni cardiovascolari e renali, ospiti fissi in quasi la metà dei malati, giusto per salire ancora di livello nel dramma quotidiano.
C’è una speranza, però: basterebbe una “migliore aderenza terapeutica”. Traduzione: prendi le medicine come ti dicono, senza frignare o scappare. Semplice, no? Eppure così complicato.
Il magico mondo della “aderenza” alla terapia
Ora, Cognetti ci apre gli occhi sulla tragedia più grande: le cause della mancata assunzione delle medicine sono un caleidoscopio di scuse più o meno credibili. Siamo passati dai semplici “Ho dimenticato” ai profondi “Ho paura degli effetti collaterali”, fino alle complicazioni comunicative che farebbero impallidire anche il più brillante degli psicologi. Evidentemente, la colpa è di quei medici che, invece di parlare chiaro e coinvolgere gli sventurati pazienti nelle decisioni, preferiscono il teatrino incomprensibile delle parole tecniche.
Secondo questa visione necessitano medici più empatici, pronti a semplificare regimi terapeutici da circo equestre e a costruire un’alleanza terapeutica che suoni grande, seriamente multidisciplinare, ma soprattutto centrata sulla “persona”. Peccato che spesso si dimentichi che le persone non sono solo pazienti, ma esseri umani stanchi, confusi e perennemente alla ricerca di una dose di buon senso in mezzo a pillole e protocolli.
In conclusione, assistiamo a un simpatico spettacolo: da un lato la medicina che promette miracoli tecnologici; dall’altro, un’umanità anziana e malata ostaggio di un sistema che, pur mostrando tutte le sue contraddizioni, continua a chiedere obbedienza cieca come fosse l’unico modo per “garantire qualità di vita”. Che conquista del progresso!