Quando l’autonomia di una ragazza diventa un crimine: la sentenza choc sul caso Saman Abbas

Quando l’autonomia di una ragazza diventa un crimine: la sentenza choc sul caso Saman Abbas

Il tragico destino di Saman Abbas è stato deciso da quel brillante “clan familiare” che evidentemente non tollerava l’arrogante idea della ragazza di voler vivere per conto proprio. Lo confermano i giudici della Corte di Assise di Appello di Bologna, che non hanno ancora perso tempo a condannare all’ergastolo genitori e due cugini, mentre lo zio si aggiudica una comoda pena di 22 anni.

Nel documento che non lascia spazio a dubbi si legge che la premeditazione è stata un elemento centrale di questa tragica vicenda, perché “il quadro probatorio dimostra chiaramente che il clan ha deciso con fredda lucidità e ha architettato il delitto con un ragionevole anticipo”. Insopportabile, per loro, il fatto che Saman, uccisa nella notte tra il 30 maggio e il 1 aprile 2021 a Novellara (una perla della provincia di Reggio Emilia), avesse avuto l’ardire di scegliere una vita libera e autonoma, in netto contrasto con quei “valori etici e credi religiosi” che sembrano più un lasciapassare per giustificare un delitto che una reale guida morale.

La Corte, con altrettanta solennità, fa persino un distinguo di classe, dichiarando che il fratello di Saman, Alì Haider, è “assolutamente estraneo al crimine”. Non solo, viene considerato un “impiccio” persino per la famiglia, il che non è altro che un modo elegante di dire che era un ostacolo alla pianificazione della tragedia. Il giovane avrebbe vissuto in un Paese che evidentemente non sentiva suo, rinchiuso in un microcosmo familiare che gli ha brutalmente sottratto un fondamentale punto di riferimento affettivo senza molto riguardo.

Insomma, la storia di Saman Abbas è il triste esempio di cosa succede quando i diritti umani si scontrano con tradizioni che prediligono il controllo e la repressione mascherati da “valori”. Un copione già visto, che però continua a essere recitato con sorprendente regolarità, mentre chi dovrebbe proteggerci guarda altrove o commenta con ipocrisia.

La sentenza della Corte di Assise di Appello di Bologna non è solo una condanna penale, ma una denuncia inquietante della crudeltà umana nascosta dietro facciate di rispettabilità e norme ancestrali che, evidentemente, rimangono intoccabili finché qualcuno non decide che è troppo tardi per la vittima.

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