Corridoi umanitari: l’eterna farsa del rispetto delle leggi internazionali e delle cure che nessuno garantisce

Corridoi umanitari: l’eterna farsa del rispetto delle leggi internazionali e delle cure che nessuno garantisce

La Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva (Siaarti) lancia l’ennesimo grido di allarme su quella che definisce una “tragedia sanitaria” nella Striscia di Gaza. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, con rara sobrietà, descrive lo scenario come un crollo catastrofico, con ospedali che operano al triplo della loro capacità e con una mancanza pressoché totale di farmaci e materiale essenziale. Per chi avesse ancora dubbi: i medici, italiani inclusi, sul posto riferiscono di una situazione da incubo, con pazienti – perlopiù donne e bambini – arrivati con ustioni orribili, traumi gravissimi, amputazioni e fratture multiple, curati però senza né anestesia né analgesici adeguati, in una totale assenza di garze, guanti sterili e ventilatori polmonari.

L’ormai mitico ospedale Shifa di Gaza City, un tempo fiore all’occhiello con 700 posti letto e 21 sale operatorie, è stato ridotto a qualcosa di lontano dal concetto moderno di ospedale: oggi sopravvivono solo 3 sale operative attive, personale dimezzato, scarseggiano elettricità, farmaci e materiali sanitari. E non stiamo parlando di una svista: molte operazioni chirurgiche si effettuano in condizioni che definire precarie è un eufemismo, senza alcuna minima garanzia di sicurezza. Quando il 9 luglio ai neonati prematuri è stato chiesto di condividere lo stesso incubatore, non era un atto di solidarietà ma pura disperazione causata dalla mancanza di carburante nelle terapie intensive. Per non parlare del raid del 25 agosto al Nasser Hospital di Khan Yunis, che ha ucciso 22 persone, ferito oltre 50, messo fuori uso la scala d’emergenza e i reparti chirurgici, riducendo ulteriormente le già ridotte possibilità di cura nell’area sud di Gaza.

Di fronte a quello che non sorprende definire un disastro umanitario, capace di colpire “i pazienti più fragili” e rendere “impossibile garantire cure salvavita”, la Siaarti non si limita al lamento. Invoca con vigore la “apertura immediata di corridoi sanitari e umanitari” per un accesso sicuro e ininterrotto a tutto ciò che serve: anestetici, analgesici, antibiotici, sedativi, dispositivi per la ventilazione polmonare, materiale monouso (leggasi maschere laringee e di ventilazione) e materiali chirurgici sterili. Ah, e ovviamente anche il carburante, perché senza quello si spengono incubatrici e terapie intensive. Ma la dolcezza non finisce qui: si ricorda pure il “rispetto assoluto delle convenzioni internazionali” che dovrebbero proteggere la neutralità di ospedali e personale medico, che invece vengono sistematicamente presi di mira o ostacolati nel loro lavoro. E per farla completa, si sottolinea la necessità di mobilitare risorse specifiche per la gestione del dolore, la continuità delle cure chirurgiche e intensive e la fornitura di attrezzature fondamentali per salvare vite in condizioni emergenziali.

Non basta: la trasparenza diventa parola d’ordine. Serve una “raccolta e diffusione trasparente” dei dati clinici e logistici, che riguardano disponibilità di anestetici, ventilatori e sale operatorie, così da indirizzare al meglio la risposta internazionale, per quanto apparentemente interessata a questa tragedia.

La Siaarti, fedele alla propria missione che tutt’altro che riesce a far apparire come una tattica politica, ribadisce quanto la sua azione sia “esclusivamente umanitaria”, incastonata nei “principi dell’etica medica universalmente condivisi” che vorrebbero “proteggere la vita e la salute di tutte le persone, specialmente delle più vulnerabili,” e garantire sempre “l’accesso alle cure essenziali.” Più chiaro di così, impossibile.

Non contenta di denunciare, la società scientifica si propone anche come motore di “sensibilizzazione della comunità medica” e promotrice di reti di solidarietà, formazione a distanza e supporto tecnico a chi si trova sul terreno, perché salvare vite a Gaza è un lavoro di squadra senza confini. Parallelamente, si schiera fermamente a fianco della comunità medica globale – e in Italia dei colleghi infettivologi – nell’esigere un intervento internazionale che sia finalmente “immediato, efficace e coordinato.” Perché, dice, è inaccettabile che ancora “nessun paziente” possa essere lasciato senza cure di base, anestesia o assistenza intensiva e ribadisce con fermezza come sia imperativo “tutelare e garantire la sicurezza degli operatori sanitari.”

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