Quel poliziotto modello che ha trasformato un investimento in un funerale di Matteo Barone

Quel poliziotto modello che ha trasformato un investimento in un funerale di Matteo Barone

Torna libero Giusto Chiacchio, il poliziotto ventiseienne accusato di omicidio stradale per aver falciato e ucciso Matteo Barone, appena 25 anni, mentre attraversava sulle strisce in via Porpora a Milano, sabato 6 settembre. Il tutto condito da un positivo alcoltest a pochi giorni dall’incidente, perché nulla dice più “responsabilità e sicurezza” come un agente che guida con l’alcol nel sangue.

Il giudice milanese Roberto Crepaldi, dopo aver convalidato l’arresto in flagranza, ha deciso che il nostro eroe meritava la libertà. L’interrogatorio, tenutosi nella tranquilla prigione di Bollate, ha rivelato un soggetto dal comportamento “ampiamente collaborativo” (così il gip), a cui però la patente è stata sospesa — perché, si sa, nulla spiega meglio la gravità di un omicidio di un giovane sulle strisce come la sospensione della patente.

Nonostante fosse stato già monitorato per una precedente intossicazione alcolica, l’amata legge ha decretato che il carcere non è la misura più adatta. Il giudice non ha rilevato pericoli di reiterazione, come se investire un pedone con velocità tra i 50 e gli 80 km/h sotto effetto di alcol fosse solo una lieve leggerezza.

Ecco le illuminanti motivazioni del giudice: nonostante il giovane agente abbia mostrato una scarsa empatia nei confronti della vittima (fa molto umano, no?), la velocità poteva essere certamente eccessiva ma non “particolarmente spregiudicata”. L’alcol nel sangue, a 0,60 g/l, era “modesto”. E l’allontanamento dal pronto soccorso dopo il dito schiacciato? Nulla di rilevante — una birra di troppo, si sa, può far dimenticare anche dove andare.

Insomma, il ritratto di Chiacchio è quello di un poliziotto incensurato, con un precedente di intossicazione alcolica risalente a quasi due anni fa, “completamente aspecifico” rispetto al pericolo di ricadute alla guida. Un uomo d’onore. Il suo avvocato, Giuseppe Maria De Lalla, naturalmente ribadirà che la sospensione della patente è più che sufficiente a placare eventuali voglie auto-distruttive di guida spericolata.

Quindi niente carcere per chi, pur ubriaco, travolge un giovane sulle strisce pedonali. Ma a rassicurarci c’è la giustizia che, nell’immenso pragmatismo dei suoi principi, ha stabilito che il vero pericolo era il rischio di reiterazione che per fortuna non c’è. Sarebbe interessante sapere quale fosse l’alternativa giusta: forse un corso di guida sobria per poliziotti distratti? Nel frattempo, un minuto di silenzio per la parola “giustizia” che ogni tanto fa brutti scherzi.

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