Se pensavate che il mondo della sanità italiana andasse avanti, beh, preparatevi a una doccia fredda degna di un film horror italiano. Da oltre due anni, i nuovi livelli essenziali di assistenza (Lea) sono bloccati al via, come quei concorrenti arrugginiti fermi ai blocchi di partenza in una gara che nessuno vuole vincere. Nonostante il coro unanime di ben 75 società scientifiche, riunite sotto il mai troppo citato Forum delle società scientifiche dei clinici ospedalieri e universitari italiani (Fossc), i Lea latitano senza un motivo apparente. E non parliamo di mancanza di danaro: la copertura finanziaria è già stata messa sul tavolo da tempo, ma il consueto pasticcio burocratico tra Governo centrale e Conferenza Stato-Regioni ha complicato ancor di più questa triste farsa.
Francesco Cognetti, coordinatore del Fossc, non si trattiene e punta il dito dove fa più male: “Cittadini più abbienti si vedono costretti a spostarsi da Regioni povere a quelle più ricche per ottenere servizi che dovrebbero essere garantiti a tutti. Gli altri, i poveri veri, rimangono a bocca asciutta e con la speranza di un miracolo sanitario.”
Come se non bastasse, la fotografia scattata dal Ministero della Salute sugli standard di attuazione dei Lea nel 2023 è da manuale del disastro. Il solito divario tra Nord e Sud non è un mistero, ma, tenetevi forte, alcune Regioni come Lazio, Sicilia, Lombardia e Basilicata sono pure peggiorate rispetto all’anno precedente. Un bel modo per celebrare gli otto anni dall’ultimo aggiornamento dei Lea del 2017. Se siete tra coloro che si sentono rassicurati sentendo che “13 Regioni hanno superato la soglia del 60% in ognuna delle 3 aree di assistenza”, ricordatevi solo che questo significa che il 40% dei servizi essenziali, quelli che dovrebbero essere garantiti a tutti – eh sì, proprio tutti –, sono un miraggio da queste parti.
Cognetti precisa ironicamente che questi livelli di assistenza, ormai datati otto anni, sono quasi un reperto archeologico nel mondo della sanità: “Negli ultimi anni ci sono stati così tanti progressi che quello che ora si considera essenziale è già passato di moda e sarebbe da riformare di nuovo.”
Alla faccia dei Lea, ecco il solito aggiornamento bloccato
Ora, le nuove norme di aggiornamento dei Lea sono belle e pronte da mesi, con una valanga di modifiche: ampliamenti per gli screening preventivi, nuove prestazioni sanitarie, aggiornamenti sulle esenzioni, introduzione di tecnologie e ausili terapeutici all’avanguardia. Compreso un monitoraggio speciale per tumori delicatissimi come quelli della mammella e dell’ovaio in pazienti con mutazioni genetiche BRCA1 e BRCA2, una novità mica da poco. Ma, beffa delle beffe, tutto rimane bloccato per un misterioso stallo burocratico che nessuno si degna di risolvere, aggravando le disuguaglianze già ben piantate nel sistema sanitario nazionale.
Quindi, non importa quanto si facciano avanti scoperte e tecnologie; in Italia restiamo ferma al palo, dicono che il cambiamento è pronto ma poi, come sempre, lo lasciamo arrugginire sui tavoli delle commissioni o polverizzare nei corridoi delle riunioni incompiute. Alla faccia della modernità e della tutela dei cittadini.
Alla fine, l’unico Lea che garantiamo davvero è quello dell’indifferenza burocratica, mentre la salute dei cittadini rimane una scatola chiusa, in attesa forse di un miracolo o, più probabilmente, di una nuova legislatura che ripeschi questo disastro amministrativo.
Il coordinatore Fossc ci illumina ulteriormente: tra queste indagini cromosomiche, figurano anche i tanto decantati test genomici per il carcinoma mammario ormonoresponsivo in stadio precoce. Questi test, nati per scegliere il miglior trattamento adiuvante post chirurgia (quel trattamento pensato per abbattere il rischio di recidiva), dovrebbero coprire un target temporaneo di circa 10.000 donne ogni anno, grazie a un fondo speciale che ovviamente non verrà esteso all’infinito.
Al netto di questi numeri da PowerPoint, Cognetti fa calare la luce su un quadro che sarebbe desolante – eufemismo – se non fosse tragicomico: i livelli attuali di assistenza offerti ai cittadini italiani sono praticamente un invito a rassegnarsi. E i ritardi? Oh, quelli sono un classico, una tradizione nazionale! Non solo si accumulano per le autorizzazioni centrali e regionali sull’introduzione di farmaci nuovi – quegli stessi farmaci che sono la nostra unica speranza di miglioramento clinico –, ma peggiorano pure rispetto alle stime già pessime di Aifa.
Insomma, la summa degli sforzi e delle inefficienze ci racconta una storia molto semplice: il sistema sanitario pubblico italiano è così solo perché una riforma radicale è stata rimandata fino all’afasia. Si naviga a vista tra fondi speciali temporanei e approvazioni lentissime, lasciando milioni di cittadini incollati a speranze ormai quasi ridicole.
Come ciliegina sulla torta di questo spettacolo, non ci resta che applaudire l’abilità di un sistema che riesce a offrire approvazioni e rimborsi per farmaci e test di ultima generazione solo quando ormai la paura della recidiva e il destino sembrano già aver preso accordi. Ecco servita, con sarcasmo, l’epitome dello stato dell’arte della sanità che vorremmo ma che non abbiamo.