Emilio Fede se n’è andato ieri, martedì 2 settembre, all’età di 94 anni. L’ex direttore del Tg1 e Tg4, noto per essere uno dei volti più iconici – e controversi – dell’informazione italiana, era ricoverato da tempo in una residenza sanitaria vicino a Milano. Negli ultimi giorni le sue condizioni si erano complicate e alla fine il suo cuore ha smesso di battere.
La figlia Sveva Fede ha annunciato con tono commosso: “Papà ci ha lasciato”. Nei giorni in cui Emilio Fede versava in condizioni critiche, lei aveva confidato che lui apprezzava il sostegno di colleghi e giornalisti: “È importante, siamo tutti con lui. Non avremmo voluto che la notizia trapelasse prima di una soluzione definitiva, ma visto che è successo pensiamo che sia giusto così, perché si meritava questo piccolo tributo da parte di tutti.”
Nella sua lunga e turbolenta carriera, Fede è stato uno dei volti più riconoscibili dell’informazione pubblica e privata italiana. Entrato in Rai nei primi anni Sessanta, ha trascorso otto anni come inviato speciale dall’Africa prima di condurre il Tg1 delle 20 tra il 1976 e il 1981, per poi esserne direttore dal 1981 al 1983.
Abbandonata la Rai, è passato a Fininvest, prima alla guida di Studio Aperto, il telegiornale di Italia 1, e poi come direttore del Tg4 dal 1992 al 2012, quando se n’è dimesso. Nonostante le accuse ricorrenti di faziosità politica, è riuscito a mantenere la leadership del tg per ben vent’anni. Un record, considerando la mole di polemiche che lo circondava.
Ha avuto anche il suo momento di gloria – o forse di scriteriata decisione giornalistica – nel 1991, quando, da direttore di Studio Aperto, diede per primo in diretta la notizia dell’inizio della prima Guerra del Golfo con l’operazione ‘Desert Storm’. Tutto questo avveniva il giorno stesso del debutto del tg su Italia 1, regalando un’esordio col botto a un telegiornale nato per essere giovane e fresco.
Ricordava lui stesso quell’episodio così: “Fu un momento di grande emozione ma anche di grande paura per una guerra che avremmo pagato cara, una guerra infinita. Sapevo che scadeva l’ultimatum e con Silvia Kramar, collega bravissima, siamo rimasti in ascolto fino a catturare il momento del bombardamento su Baghdad, prima di tutti gli altri.”
Emilio Fede nasce a Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, il 24 giugno 1931. Inizia prestissimo la carriera giornalistica a Il Momento – Mattino di Roma, città in cui si trasferisce e completa gli studi. Successivamente lavora come inviato speciale per la Gazzetta del Popolo di Torino, ma è con l’ingresso in Rai nel 1954 – assunzione ufficiale nel 1961 – che avviene la sua definitiva affermazione professionale.
È noto anche per il suo matrimonio con Diana De Feo, figlia del potente vicepresidente della Rai di allora, Italo De Feo, che sicuramente non guadagnò crediti di imparzialità nella televisione di Stato grazie a questa unione. Una carriera che ha sempre navigato tra potere, influenze e un’informazione spesso divisa tra cronaca e gioco politico.
Emilio Fede è il vero maestro nel trasformare una carriera giornalistica in un romanzo tutto suo, condito da scandali, amicizie politiche e colpi di scena degni di una soap opera. Padre di due figlie, Simona e Sveva, ha iniziato la sua avventura professionale da inviato Rai in Africa, poi è passato a fare il giornalista d’inchiesta per il settimanale Tv7, l’appuntamento cult del Telegiornale Nazionale. Tra le sue imprese memorabili la celeberrima inchiesta sulla bistecca agli estrogeni, perché nulla dice “giornalismo serio” come accendere i riflettori su tagli di carne potenzialmente sospetti.
Con la tanto decantata riforma Rai del ’76, Fede si incolla al bancone dell’edizione serale del Tg1, guadagnandosi un posto al sole per ben cinque lunghi anni. La sua popolarità? Esplosiva, come un’inchiesta da prima pagina, e lui stesso diventa la faccia – o forse dovremmo dire la maschera – più conosciuta della cosiddetta televisione di servizio pubblico.
Rincarando la dose, nel 1981 sale sul carro del direttore del Tg1 e segna un momento storico: la diretta sull’incidente di Vermicino, quella che tutti ricordano come la prima maratona televisiva in tempo reale di una tragedia nazionale. Venticinque milioni di spettatori incollati allo schermo per assistere al tragico, struggente tentativo di salvare il piccolo Alfredino Rampi, caduto nel pozzo e poi morto. Un evento che ha dimostrato la potenza – e la morbosità – del live, senza filtri, senza pause, senza pietà.
Terminato il mandato da direttore, Fede decise che il giornalismo serio aveva bisogno anche di un po’ di intrattenimento: e così, tra il 1983 e il 1984, si lanciò nella conduzione di “Test”, un programma che si scontrava direttamente con “Superflash” di Mike Bongiorno. Proprio così, sfida all’ultimo sorriso per il pubblico, non fosse altro perché Fede portava con sé tutto un bagaglio di aura grottesca indiscussa. Parallelamente curava con Sandro Baldoni la rubrica “Obiettivo su…”, forse un angolo di serietà in mezzo a tanto spettacolo.
Ma come ogni grande personaggio degno del suo mito, anche Fede sapeva quando dire basta. Nel 1987 si dimette dalla Rai, accompagnato da una condanna per gioco d’azzardo, perché si sa, niente rovina una carriera meglio di qualche puntata al tavolo verde. Non pago, approda subito a Rete A, dove mette mano al notiziario, prima di salutare anche qui e passare nel 1989 alla potentissima Fininvest, consolidando il suo legame con l’allora uomo forte del paese, Silvio Berlusconi. Qui si occupa prima della struttura informativa VideoNews, poi diventa il brillante ideatore, conduttore e direttore di Studio Aperto, il telegiornale di Italia 1. Nel 1992 cambia ancora timone e assume la guida del Tg4, il suo campo di battaglia personale fino al 2012, quando una trattativa naufragata con Mediaset lo costringe a lasciare la poltrona.
Se pensate che Fede si sia limitato a fare il giornalista, siete lontani anni luce dalla realtà. Nel 1997 si lancia come scrittore con un libro che sembra più un’autobiografia mascherata, Finché c’è Fede, e non lo fa una volta, ma sei volte di fila: da “Privè. La vita è un gioco” a “La cena dei cretini”, passando per titoli che sono un mix di confessioni, gossip, riflessioni su amicizie altolocate e lampi di politichese assortito. E non dimentica nemmeno la tv di intrattenimento: nel 2000 si traveste da Babbo Natale per la prima edizione del Grande Fratello, un ruolo così “naturale” che sicuramente nessuno ha sentito il bisogno di criticare.
Ma niente è perfetto nel mondo di Fede, e a questa parabola da re della tv non potevano mancare i guai giudiziari. Nel 2008 viene querelato dal Comune di Venezia per un servizio su una zona lagunare, perché lo stile ironico e pungente del direttore non piace a tutti, e persino il web si ribella. Ma il colpo grosso arriva con il famigerato caso Ruby, dove Fede viene condannato a sette anni per induzione e favoreggiamento della prostituzione, pena ridotta poi in appello a quattro anni e sette mesi. Ovviamente, vista l’età e lo stato di salute, ha evitato il dolore del carcere con la detenzione domiciliare, perché in cella sarebbe stato troppo per un uomo che ha passato la vita a correre lungo i corridoi di un telegiornale, tra verità e mistificazioni.



