Al Congresso 2025 della Società Europea di Cardiologia (ESC), Bayer ha dato il via a nuove analisi post hoc dello studio di fase III Attribute-Cm, focalizzandosi su acoramidis, un farmaco destinato ai pazienti con amiloidosi cardiaca da transtiretina. Le analisi esplorative, a dir poco intriganti, indicano miglioramenti clinicamente significativi rispetto ai valori iniziali nei livelli del biomarcatore NT-proBNP, nella distanza percorsa in 6 minuti (6MWD) e, più sorprendentemente, nel rallentare o addirittura bloccare la progressione della malattia secondo il sistema di stadiazione del National Amyloidosis Center.
Le valutazioni sull’effetto di acoramidis si sono concentrate su due elementi chiave: il miglioramento esclusivo dei livelli di NT-proBNP e la capacità del farmaco di migliorare o arrestare lo stadio Nac, un indicatore fondamentale per la gravità della malattia. Mentre BridgeBio Pharma ha guidato l’analisi di quest’ultimo aspetto, Bayer ha focalizzato le sue ricerche sull’evoluzione clinica rispetto al basale, misurata attraverso NT-proBNP e 6MWD. Non è poi così sorprendente che senza alcun trattamento, i pazienti con questa diagnosi mostrino una sopravvivenza mediana di appena 3-5 anni. Ma grazie a tecniche diagnostiche più raffinate, sta emergendo che l’amiloidosi cardiaca da transtiretina (ATTR-CM) è una causa drammaticamente sottodiagnosticata di insufficienza cardiaca, presente fino nel 15% dei casi di insufficienza cardiaca con frazione di eiezione preservata (HFpEF).
Francesco Cappelli, cardiologo dell’Azienda ospedaliero-universitaria Careggi di Firenze, commenta ironicamente:
“Queste analisi ci lanciano un segnale promettente, suggerendo che acoramidis potrebbe fare molto di più che allungare il passo della malattia in alcuni pazienti. I dati dimostrano miglioramenti clinicamente rilevanti nei valori di NT-proBNP e nella capacità funzionale misurata attraverso la 6MWD, il che è più di quanto ci si potesse aspettare.”
Nel corso dello studio di fase III si è osservato che la classe NYHA (New York Heart Association), quella simpatica scala che giudica i sintomi e lo stato funzionale dei pazienti con insufficienza cardiaca, è rimasta stabile o è addirittura migliorata nel 64,1% dei trattati con acoramidis, contro solo il 47% dei pazienti sotto placebo, dopo 30 mesi di trattamento. Un appuntamento buffo, visto che in molti casi la malattia procede incurante del tempo.
La prima analisi post hoc ha scandagliato l’andamento dei livelli di NT-proBNP rispetto ai valori iniziali: nel gruppo curato con acoramidis, tre pazienti su quattro – quelli sopravvissuti fino alla fine del periodo di osservazione di 30 mesi – hanno mostrato una stabilizzazione o un miglioramento superiore al 30% rispetto al basale. Nel frattempo, chi si è visto somministrare il placebo ha mostrato risultati ben più modesti. Dopo 30 mesi, quasi la metà dei pazienti trattati con acoramidis (45%) ha ottenuto una riduzione netta del biomarcatore, mentre nel gruppo placebo solo il 9% può vantare tale risultato. Numeri che sembrano quasi una barzelletta, se pensiamo alle delusioni passate.
La seconda analisi post hoc, meno svelata ma altrettanto determinante, ha invece investigato se acoramidis fosse in grado di far meglio che rallentare la malattia, puntando a migliorare direttamente lo stadio Nac della patologia. I risultati dettagliati di questa analisi sono ancora in fase di pubblicazione, ma le prime indicazioni fanno sognare chi segue da tempo i pazienti con ATTR-CM.
In sintesi, può sembrare che questo farmaco stia per rivoluzionare il trattamento di una malattia tanto subdola quanto letale, che per troppo tempo ha fatto sentire i suoi pazienti come fantasmi invisibili nella complessa rete delle insufficienze cardiache. E, ovviamente, quando i dati sembrano così promettenti, non si può fare a meno di chiedersi: perché non ne abbiamo sentito parlare prima con questa enfasi? Ma questo, cari lettori, è il mondo scintillante delle scoperte mediche tra entusiasmo, speranze e quel sano pizzico di scetticismo.
Non stiamo parlando di miracoli, ma di dati statistici “significativi” che sembrano offendersi a chi pensava che tutto fosse ormai perduto. Frank Schoening, responsabile del team globale di prodotto di Bayer Pharmaceuticals, si lascia andare a qualche dichiarazione di circostanza, quasi fossero lanci di bigliettini d’amore in un campo di battaglia:
“Questi nuovi dati rafforzano ulteriormente il potenziale di acoramidis nel rallentare la progressione dei depositi di amiloide. Storicamente, una diagnosi tardiva imponeva di concentrarsi principalmente sul rallentamento della malattia. Tuttavia, una diagnosi precoce apre la strada a opportunità più ampie, e siamo entusiasti di vedere come sia possibile continuare a supportare i pazienti affetti da amiloidosi cardiaca da transtiretina.”
Come se non bastasse, Bayer ci tiene a ricordare che con questo farmaco si sono aggiunti all’armamentario contro l’insufficienza cardiaca, una patologia debilitante che nessuno si sogna davvero di curare in modo efficace, se non con parole altisonanti nei comunicati stampa. Sempre Christine Roth, brillante Executive Vice President di Bayer, esalta la “pietra miliare” che è acoramidis, capace di offrire una “opzione terapeutica ad azione rapida” che dovrebbe proteggere i pazienti vulnerabili, riducendo di fatto il rischio di eventi cardiovascolari e rallentando la progressione del male.
Si tratta di numeri, testi e definizioni da manuale di medicina, ma con una punta di ottimismo che fa sempre comodo se devi vendere un farmaco e coccolare investitori e azionisti. Per capirci meglio, il sistema di stadiazione Nac classifica la mortalità, spiegandoci brillantemente che più si avanza nello stadio, meno si sopravvive. L’NT-proBNP invece è quello che ti dice se il cuore sta facendo gli straordinari e comincia a stancarsi. E il test della distanza percorsa in 6 minuti? Nient’altro che un metronomo atroce per misurare quanta polmonite ci portiamo appresso, cioè quanto funziona il nostro muscolo cardiaco durante un esercizio banale.
Le analisi presentate all’ESC, la comunità medica suprema che tutti ammiriamo, suggeriscono che acoramidis riduce lo stress del povero cuore, migliora la capacità funzionale di esercizio e – come ciliegina sulla torta – sembra capace pure di migliorare la qualità della vita di qualcuno. Evviva!
Acoramidis, nato nei laboratori un po’ hipster di BridgeBio e approvato dalla FDA nel 2024 e dall’EMA agli albori del 2025, si vanta di stabilizzare quasi alla perfezione la transtiretina—quella malasorte proteina che, mutando o semplicemente ringiovanendo troppo, diventa un disastro tetramerico che si sgretola a fare danni nel cuore. Bayer detiene i diritti esclusivi in Europa, mentre BridgeBio si gode la torta americana e oltreoceano. Dal marzo 2024, le due hanno stretto un’alleanza che sembra più un matrimonio forzoso che una reale chimica di mercato.
Per chi non avesse ancora apprezzato la tragedia, l’amiloidosi cardiaca da transtiretina è un lento tuffo nell’abisso: una malattia progressiva e degenerativa dovuta all’accumulo di proteine spaesate che si conciamo male e vanno a incollarsi nel muscolo cardiaco, trasformandolo in un triste macigno soffocante. È come se il cuore fosse un gigante che si carica di zavorre di cui non ha mai chiesto il peso.
Il problema? Il più delle volte la diagnosi arriva quando il danno è già fatto e i sintomi bussano fragorosamente alla porta, lasciando i medici e i pazienti con la bocca asciutta. Senza interventi mirati, la sopravvivenza media è un laconico “solo” 3-5 anni. Ma ecco acoramidis, il ribelle che promette di rallentare il tempo e – perché no – fare qualche miracolo in più, almeno secondo speranze, comunicati stampa e qualche congresso internazionale.



