Il carcere ha deciso che Salvatore Raimondi può finalmente tornare a respirare aria di libertà. Condannato a vent’anni per il rapimento del piccolo Tommaso Onofri, quel bimbo strappato alla sua famiglia durante una cena a Casalbaroncolo, provincia di Parma, nell’ormai lontano 2 marzo 2006, Raimondi sfrutta gli sconti di pena previsti dalla legge e perde così lo scontro con il tempo dietro le sbarre. A onor del vero, non gli è stata attribuita alcuna responsabilità nell’omicidio del bambino, ritrovato morto poco meno di un mese dopo, l’1 aprile.
Per chi si sta ancora adattando a questa notizia così “liberatoria”, va ricordato che la pena di 24 anni per Antonella Conserva è tuttora in corso, mentre Mario Alessio sconta la sua condanna all’ergastolo. Insomma, una sfilata di condanne e responsabilità con una commozione pubblica che resta però lontana dal conforto della famiglia Onofri.
La mamma del povero Tommaso, Paola Pellinghelli, non sembra certo contemplare l’idea di una “giustizia soddisfatta”. Anzi, sfodera un sarcasmo più tagliente di una lama nel commentare il fatto che Raimondi sia uscito dal carcere dopo aver goduto di una semilibertà precedente.
Paola Pellinghelli ha dichiarato:
“Raimondi libero? Prima o poi me l’aspettavo, visto che era già in semilibertà. Che si goda la sua vita, noi invece siamo condannati per sempre.”
Un dramma personale dilatato all’infinito, una sofferenza che non conosce sconti o scarcerazioni anticipate. Con una freddezza disarmante verso chi vorrebbe cercare un contatto, la mamma di Tommaso aggiunge un’ulteriore punzecchiatura:
“Non si permettano di venirmi a cercare. Se fossi in loro, non riuscirei a vivere con il peso di ciò che hanno fatto, ma non credo siano pentiti.”
La definizione di colpa e perdono, teme, rimane un affare privato, irrisolvibile per chi ha perso un pezzo di sé per sempre. E si rifiuta di etichettare diversamente i suoi accusatori:
“Per me sono tutti e tre sullo stesso piano. Non perché ha aiutato la giustizia, è diverso dagli altri, meno responsabile.”
In questo teatro di tragedie giudiziarie senza mai una scena finale davvero soddisfacente, la libertà di qualcuno suona più come un’offesa che come una vittoria della giustizia. Il dolore della madre di Tommaso resta incancellabile, etereo e implacabile come il tempo che non torna indietro.



