Prevenzione melanoma? Ecco Sidemast che si improvvisa guida tra percorsi a prova di smarrimento

Prevenzione melanoma? Ecco Sidemast che si improvvisa guida tra percorsi a prova di smarrimento
Germanico e dissacrante, ecco il titolo rielaborato: La mappatura dei nei: mito dermatologico o farsa medica che coinvolge anche il medico di base? E ora, l’articolo rivisto in italiano, rispettando scrupolosamente le istruzioni di formato e tono:

Giovanni Pellacani, presidente della Società italiana di dermatologia e malattie sessualmente trasmesse (Sidemast), ha dichiarato che la sua società è più che disponibile a collaborare con le istituzioni e altre organizzazioni scientifiche per definire un percorso chiaro ed efficace dedicato alla prevenzione e alla diagnosi precoce del melanoma e di altri tumori cutanei, senza però gravare su costi o risorse attualmente inesistenti.

In particolare, Pellacani interviene nel dibattito che ha animato le ultime settimane, riguardo alla proposta di coinvolgere anche il medico di medicina generale nella cosiddetta “mappatura dei nei”. Una definizione, già di per sé traballante, che gode però di un certo clamore mediatico. Il presidente di Sidemast si mostra favorevole all’idea che il medico di base possa esercitare un primo filtro di valutazione per decidere se indirizzare il paziente verso una visita specialistica dermatologica. Peccato solo che tutto ciò richieda, manco a dirlo, una formazione rigorosa e un costante aggiornamento, perché non tutti sono scienziati della pelle.

La cosa più divertente però è che la “mappatura dei nei” praticamente non esiste in termini concreti: non è riconosciuta né come tariffa né come reale prestazione medica. Si tratta piuttosto di un’espressione abusata, una semplificazione comunicativa che ha prodotto una visione distorta dell’esame dermatologico. Un esame che, sul serio, serve a diagnosticare melanoma e altri tumori cutanei, e che negli anni ha beneficiato di strumenti via via più sofisticati per affinare la diagnosi, ma questo naturalmente nessuno lo sottolinea.

Le linee guida europee per la diagnosi del melanoma, adottate anche in Italia, raccomandano di unire la valutazione clinica all’uso del dermatoscopio, strumento riservato ai dermatologi appositamente formati. Non un giocattolo per tutti dunque, ma un attrezzo che permette di scovare dettagli invisibili a occhio nudo. E se pensate che una fotocamera digitale possa fare miracoli, la videodermatoscopia – che altro non è che una versione digitale del dermatoscopio – migliora soltanto la capacità di archiviare immagini per controlli nel tempo, senza però aumentare l’accuratezza diagnostica.

E non finisce qui, perché a completare il kit degli strumenti ci pensa la microscopia confocale a riflettenza, ossia una “biopsia virtuale” che permette di osservare le cellule senza doverle asportare con un bisturi. Una vera manna, ma ancora relegata fuori dai Livelli essenziali di assistenza, così da mantenere intatto il gusto della “classicità” nel sistema sanitario. E per chi porta più nei del comune mortale e si sente a rischio, esistono sistemi di total body photography abbinati ai dermatoscopi digitali: una specie di album fotografico ad alta risoluzione del corpo che aiuta a individuare qualsiasi nevo cambi di forma o nasca da zero.

E proprio prima di arrivare al classico “ma per prevenire il melanoma”, vale la pena ricordare che non è certo la semplice “mappatura” a salvare vite, bensì una combinazione di conoscenze approfondite, tecnologia avanzata e una formazione seria dei medici coinvolti. Tutto il resto è pura fantasia mediatica che alimenta false speranze e confusioni inutili.

Pellacani ha un consiglio che sembra uscito da un manuale base di buon senso medico, ma che evidentemente deve ancora essere spiegato in lungo e in largo: concentrarsi sull’educazione del pubblico alla prevenzione primaria. Tradotto, significa non abbronzarsi come se non ci fosse un domani e usare protezioni solari adeguate, perché, sorpresa delle sorprese, il sole è il colpevole numero uno del melanoma e degli altri tumori cutanei. Un’illuminazione epocale, no?

E poi ci sarebbe l’autoesame periodico, chissà se avete mai sentito parlare di questa rivoluzionaria pratica: insegnare ai pazienti a riconoscere e segnalare al medico di famiglia qualsiasi lesione nuova, bizzarra o mutata. Ovviamente, addio a quegli scandali chiamati screening di massa negli asintomatici, perché tanto, chi ha tempo e voglia di stressarsi senza motivo? Il nostro medico di famiglia, eroe silenzioso e filtro primario, deciderà se la situazione è rosea o se serve portare la faccenda a un dermatologo. Il tutto naturalmente basandosi su criteri di urgenza che, spoiler, non sono mai banali.

Non basta, ci viene svelata la “magia” del dermatoscopio nelle mani del medico di famiglia, magari con un’aggiunta da teledermatologia per dare quel tocco high-tech che fa sempre scena. Questo, ci dicono, potrebbe abbassare il numero di visite inutili e velocizzare quelle necessarie. Però, attenzione alla formazione! Serve una preparazione seria e un aggiornamento continuo, perché con la pelle non si scherza, altrimenti i risultati diventano un enigma da risolvere.

Naturalmente, è il dermatologo il guru delle decisioni finali: asportare, monitorare digitalmente o sottoporre la lesione a microscopia confocale, se disponibile—ma guarda un po’, non è che i laboratori abbondino così tanto. Il tutto per evitare ritardi diagnostici con i tumori cutanei, e per non saturare a casaccio sale operatorie e laboratori di istologia, che mica si autofillano da soli.

Per finire in bellezza, bisogna identificare i pazienti “ad alto rischio” (più di 50-60 nei, pelle chiarissima, scottature infantili, immunosoppressione, familiarità, pregresso melanoma o mutazioni note)—ovvero, i soliti sospetti assortiti su cui concentrare sforzi e occhio clinico. Insomma, non si può mica sparare nel mucchio.

Pronti per l’intervento immediato? Che fantasia…

Un primo intervento semplice, seconda la nostra stella polare Pellacani, sarebbe dividere le visite dermatologiche in due corsie ben distinte: una per l’oncologia cutanea, l’altra per i controlli generici. Ecco la formula magica per smistare finalmente i pazienti verso i servizi con la giusta esperienza e attrezzatura, e tenere a bada quei fastidiosi tempi d’attesa, sia per la diagnosi che per l’eventuale asportazione. Chi avrebbe mai pensato che bastasse un po’ di ordine per migliorare le cose?

L’augurio di Sidemast, che sembra quasi una preghiera laica, è che tutto questo venga seguito da un riconoscimento serio delle prestazioni necessarie nei livelli essenziali di assistenza (LEA). E – attenzione – con l’introduzione tanto agognata della microscopia confocale a riflettenza e della total body photography, tecnologie ormai praticate ma ancora assurdamente non riconosciute. Il che suona un po’ come il solito balletto burocratico: usiamo tutto, ma non lo dichiariamo ufficialmente. Brilliamo per paradosso.

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