Alle finestre abbassate e socchiuse delle palazzine, vere e proprie sentinelle 24 ore su 24 per conto degli spacciatori, c’è il spettacolo quotidiano della “guardia” del Quarticciolo. Ecco chi vigila, con occhi attenti, chi entra e chi esce in questo angolo dimenticato della periferia est di Roma. Proprio qui, il 26enne accusato di aver stuprato una donna nel vicino parco di Tor Tre Teste ha ammesso di aver acquistato la droga che lo aveva messo “a pezzi”. In una torrida giornata d’agosto, a pochi giorni da quell’episodio, tra le case popolari e qualche bambino che gioca in strada, si respira un’aria pesante: decine di spacciatori affaccendati a vendere di tutto, dalla cocaina al crack, pronti a difendere la loro “impresa” anche a costo di sfidare le forze dell’ordine impegnate a controllare la zona.
La voce dei residenti è un misto di rassegnazione e amarezza. Filomena P., 81 anni, passeggia con il suo cagnolino e commenta: “Sono nata e cresciuta qui. Li vedo ovunque, accovacciati sulle panchine o davanti ai portoni. Ormai li conosco tutti, mi chiamano ‘nonna’ o ‘zia’ e ormai non li temo più. Hanno conquistato il quartiere, un tempo nostro, e lo hanno trasformato in un mercato della droga dove crescere un figlio significa vivere con la paura costante.”
Giulia M., 26 anni, ha invece fatto quello che molti sognano di fare ma pochi riescono: trasferirsi altrove. “Sono nata qui, ma ora torno solo per i miei genitori. Quando arrivo e me ne vado, sento gli sguardi addosso, quindi cerco di passare solo nelle ore più sicure, mai all’alba o al tramonto.”
Non tutti hanno questa possibilità. Come Anita Z., ucraina, che da 25 anni vive qui con il marito sulla sedia a rotelle. “Un mese fa, stavamo uscendo per una passeggiata, quando un giovane si è offerto di aiutarci. Il tempo di rispondere e mi aveva già sfilato il portafogli dallo zaino.” Quella che dovrebbe essere una quotidianità semplice si trasforma in una giungla, dove anche la compassione diventa una trappola.
Il parco Giovanni Palatucci, teatro della violenza, rimane oggi un luogo sospeso: vuoto e silenzioso, fatta eccezione per una ragazza che passa col cane appena fuori dall’area verde. “Non è solo un problema di sicurezza,” commenta con la freddezza di chi conosce la realtà, “è un problema di società civile, un degrado che non fa distinzioni tra periferia e centro.”
Perché il cuore di Roma, a pochi passi dalla stazione Termini, non è poi molto diverso. “Qui, in via Giolitti, trovano rifugio gli ultimi, quelli che la società ha dimenticato,” racconta una giovane commessa di un negozio di orologi nella stazione. “La vetrina diventa uno schermo su uno spettacolo continuo di miseria e degrado. Poi, quando chiudo alle 21:10, cammino veloce, senza mai fermarmi, fortunatamente verso i binari della metro per non dover uscire in strada. Di giorno li conosciamo tutti, ma con l’oscurità cala anche la sicurezza.”