Finalmente la verità: liberarsi del reggiseno fa felici tutti, mica solo te

Finalmente la verità: liberarsi del reggiseno fa felici tutti, mica solo te

Un tecnico del Policlinico Umberto I di Roma ha pensato fosse il colmo della simpatia suggerire a una ragazza siciliana di 23 anni: “se vuoi toglierti il reggiseno, ci fai felici tutti”. Lo sfogo, drammaticamente reale, è arrivato proprio dalla vittima di questo scivolone, che ha deciso di non tacere dopo un’esperienza che definire sgradevole è un eufemismo.

La giovane, chiamata Marzia Sardo, si stava preparando per una TAC al cranio il 21 agosto scorso. In piena fiducia e nella speranza di ricevere assistenza adeguata, ha chiesto al tecnico se doveva rimuovere anche il reggiseno per via del ferretto, dal momento che le aveva appena ordinato di togliere orecchini e mascherina.

La risposta iniziale era stata un comunicato tecnico e rassicurante: “no, no, tanto la tac è solo al cranio”. Ma ecco scattare il capolavoro di professionalità: lo stesso tecnico, rivolgendosi con sguardo complice ai colleghi, tutti uomini, ha aggiunto con un tono che mascherava a stento la sua ilarità, “certo, poi se lo vuoi togliere ci fai felici tutti”.

Marzia, tra lacrime e rabbia, ha denunciato l’accaduto sui social, annunciando che procederà con un reclamo formale. Ha ribadito la sua frustrazione per dover affrontare ogni giorno situazioni di questo tipo, incluso in un contesto come un ospedale che dovrebbe essere il sinonimo di sicurezza e rispetto.

Ha raccontato di come, dopo aver passato ore in pronto soccorso sentendosi male, si senta umiliata e ridicolizzata da un comportamento che supera ogni limite. “Sono solo una ragazza di 23 anni venuta in ospedale per cure, non per essere oggetto di battute sconce da tecnici maschi che invece di concentrarsi sulla salute pensano solo a provocare” – ha detto con una punta di ironia amara.

La sua riflessione finale è un pugno nello stomaco per chi ancora fa finta di non vedere: “Cosa devono passare le donne? Noi dobbiamo essere “pesanti” o “pazze” se protestiamo? Non siamo solo numeri su una tac, siamo persone che meritano rispetto, soprattutto in ambienti che dovrebbero essere professionali.”

L’indignazione della ragazza è più che giustificata, e illumina un problema ben più profondo: la persistente incapacità di alcuni operatori sanitari di mantenere almeno un minimo di decoro e serietà nel contesto del proprio lavoro. Il tutto mentre le pazienti si aspettano soltanto di essere curate e ascoltate, non di diventare involontari oggetti di umiliazione.

Forse sarebbe ora che anche negli ospedali si facesse un po’ di autocritica e formazione seria su cosa significhi l’empatia, la professionalità e soprattutto il rispetto della dignità umana. Ma scommettiamo che molte di queste “battute” non verranno nemmeno registrate come incidenti degni di nota, e finiranno come sempre nel dimenticatoio di un sistema che predilige l’omertà alla trasparenza.

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