L’America s’immerge nell’AI: soldi a valanga, bollette folli e la bolla pronta a scoppiare

L’America s’immerge nell’AI: soldi a valanga, bollette folli e la bolla pronta a scoppiare
I segreti dietro ai record azionari Usa e il miraggio infinito dell’intelligenza artificiale

Come mai i titoli azionari statunitensi continuano a infrangere record su record e un’economia che rallenta sembra invece in ottima forma? I dazi di Donald Trump, nota bene, non avrebbero dovuto far soffrire così tanto consumatori e investitori?

Il segreto, mica banale, risiede nella rivoluzione dell’intelligenza artificiale. Non solo fiocca la pioggia di investimenti multimiliardari su tecnologia e infrastrutture tangibili come i data center, ma Big Tech arricchisce i propri bilanci, dando una bella botta artificiale al PIL e ai prezzi azionari. In soldoni, secondo gli esperti, l’AI compensa ampiamente l’effetto negativo delle tariffe doganali che, in teoria, dovrebbero rallentare la crescita e far schizzare l’inflazione.

Il punto, ovviamente, è capire quanto potrà durare questo meccanismo da circo. La corsa sfrenata all’intelligenza artificiale fa impennare i consumi energetici, distorce l’allocazione dei capitali e porta licenziamenti in scena. E, giusto per aggiungere pepe, persino chi sta guidando questa rivoluzione è convinto che si stia formando una bolla pericolosamente gonfiata dal cui scoppio farebbe male uscirne indenni.

Qualche dato per aprire gli occhi sul reale impatto dell’AI nello sviluppo del prodotto interno americano. Il venture capitalist Paul Kedrosky ha analizzato la crescita del 3% nel secondo trimestre e ha scoperto qualcosa di imbarazzante: mentre gli investimenti nel settore immobiliare residenziale erano in calo, solo la spesa in apparecchiature informatiche ha fornito più di un punto percentuale di quella crescita, a cui si aggiungono 0,34 da software e licenze. Tradotto in cifre, tra aprile e giugno circa il 40% del progresso della super-economia Usa, che ammonta a circa 30mila miliardi di dollari quest’anno, dipende da investimenti in capitale finalizzati ad alimentare l’intelligenza artificiale. Possibile che qualcuno se ne stupisca?

La crescita del settore è così vertiginosa da mettere in secondo piano perfino il boom di internet. I resoconti di bilancio di Big Tech certificano un’esplosione di investimenti senza precedenti. Blackrock, in un’analisi ahinoi lucida, ha parlato addirittura di un’accelerazione “superiore a quella della rivoluzione tecnologica degli anni Novanta”. Le trimestrali di Meta, Microsoft, Amazon e Alphabet sono a dir poco stupefacenti: nei primi sei mesi di quest’anno hanno investito insieme 155 miliardi di dollari, cifra destinata a salire a circa 370 miliardi entro la fine del 2025.

Quei soldi, rigorosamente multi-miliardari, non sono finiti in cene eleganti o gadget di lusso, ma in infrastrutture colossali: data center, server, chip e ormai anche in scorte strategiche di energia e acqua per tenere in vita macchine che succhiano risorse come una pianta carnivora assetata. Solo il gruppo che gestisce Facebook e Instagram ha in programma di realizzare due data center titanici, uno in Ohio da 1 gigawatt e un altro in Louisiana da 5 gigawatt, occupando uno spazio equivalente a più di 50 campi da calcio, roba che farà discutere gli ambientalisti e i bilanci statali.

E non finisce qui. Nvidia, il colosso dei microchip che vale più di 4mila miliardi, ha venduto processori per data center solo nel primo trimestre per cifre da capogiro, dimostrando quanto la domanda sia già fuori controllo. Insomma, la tecnologia non solo è un motore potente ma si sta trasformando in una sorta di droga economica, capace di far brillare i numeri mentre nasconde questioni spinose come lo spreco energetico e il potenziale crollo di una bolla senza precedenti.

Ah, il magico mondo della corporate America, dove 39 miliardi sembrano spiccioli e gli introiti di un segmento tecnologico sfioreranno i 160 miliardi nel 2025. Tanto denaro che si traduce in profitti alle stelle, tanto da far impallidire chi ancora credeva che l’industria tradizionale fosse il motore dell’economia.

Il fiore all’occhiello? Il mitico indice Msci Us, che riassume le performance di 544 giganti americani che dominano ben l’85% della capitalizzazione di mercato. Negli ultimi cinque anni ha sfornato un invidiabile 16% annuo, mentre il suo cugino europeo si è fermato ad un modesto 8%. Che sorpresa! A trainare il tutto ci pensano ovviamente Nvidia e le Big Tech, quelle aziende che fanno sognare investitori e spaventare i lavoratori tradizionali.

Nel frattempo, le glorificate industrie automobilistiche come GM e Ford si leccano le ferite provocate da tariffe punitive, e i consumatori si ritrovano a pagare il conto salato del caro-vita. Ma niente paura: la nuova era tecnologica spazza via tutto e fa continuare a volare l’S&P 500 e il Nasdaq, regalando sorrisi smaglianti ai vecchi volponi come Donald Trump.

L’inarrestabile appetito energetico dell’AI

Dietro la festa dei mercati si nasconde però un panorama meno brillante. Il premio Nobel Paul Krugman ci ricorda che i data center americani hanno già succhiato il 4,4% dell’elettricità Usa nel 2023 e, udite udite, entro il 2028 questa voracità salirà fino al 12%. Una domanda energetica impressionante, in gran parte attribuibile a quell’omino digitale tuttofare chiamato AI, con un contributo non trascurabile dato dai minatori di criptovalute, per chi ama le sorprese.

E la domanda spontanea è: da dove arriverà tutta ‘sta elettricità? Oh, certo, l’ex presidente Trump, nella sua battaglia personale contro il verde e a favore del trivellare come se non ci fosse un domani, ha fatto fuori i sussidi alle rinnovabili, affossando – guarda caso – proprio la fonte energetica che stava crescendo come non mai. Risultato? Alcuni si aggrappano a nucleari rianimate dal passato, mentre altri come Elon Musk preferiscono mettere in moto terribili turbine a gas. Ah, ma i costi? Quelli sì, cari ovviamente ai poveri consumatori, con bollette già schizzate su del 9% annuo da inizio anno, un tasso ben più alto dell’inflazione.

Ma aspettate, non è finita. A divorare risorse oltre all’energia e l’acqua, l’AI succhia anche metri quadrati di suolo. Guardate Virginia Settentrionale, trasformata negli ultimi decenni in una mecca dei data center: i mega capannoni metallici ormai invadono quartieri residenziali, scuole, parchi, perfino le chiese. A tradimento, ovviamente: generano lavoro e cassa fiscale, quindi chi osa dire “basta”? Solo che la qualità della vita… beh, quella proprio ne risente. Economisti con la E maiuscola li chiamano “esternalità negative”, ma sapete com’è, compensare non è proprio la parola d’ordine qui.

Licenziamenti? Solo un dettaglio trascurabile…

Se pensate che la festa energetica sia l’unico prezzo da pagare, eccovi la seconda faccia della medaglia: l’AI si divora anche fondi e posti di lavoro dal manifatturiero passando per le infrastrutture e il cloud. Un assalto che ha già spinto giganti come Microsoft, Google e Meta a licenziare migliaia di dipendenti. Ma mica a caso: un po’ perché gli ingegneri umani non sono più indispensabili quando ci sono “cervelli artificiali” che scrivono codice meglio e più velocemente, un po’ perché bisogna tagliare tutto ciò che non riguarda l’AI, quella meraviglia che pretende investimenti a ritmi frenetici.

Rischio bolla tecnologica? Ah, come ai tempi delle Dot-com

Oggi molte start-up dell’intelligenza artificiale non promettono certo utili, visto che riversano ogni centesimo in nuovi investimenti. Eppure, gli analisti le valutano come se avessero appena scoperto la formula della ricchezza eterna: parliamo di multipli stratosferici, roba da far girare la testa. Lo stesso vale per colossi quotati come Palantir, che sfoggia rapporti prezzo/utili degni di un’improbabile fiaba finanziaria.