Raoul Bova sotto accusa per gli audio rubati: l’ennesima tempesta in un bicchiere d’acqua?

Raoul Bova sotto accusa per gli audio rubati: l’ennesima tempesta in un bicchiere d’acqua?
Il mistero degli audio di Raoul Bova: quando la privacy diventa show e il garantismo una formalità

Il Garante per la protezione dei dati personali ha pensato bene di accendere i riflettori su quella che solo pochi giorni fa sembrava una semplice fuga di messaggi audio tra l’attore Raoul Bova e la modella Martina Ceretti. Invece ora è scattata l’istruttoria, perché, diciamolo, qualcuno potrebbe aver dimenticato che violare la privacy altrui non è uno sport agonistico, ancorché ancorato a meme, post ironici e video virali.

Quegli audio, originariamente scambiati in confidenza privata via chat, sono stati sdoganati sui social network, trasformandosi in pietra dello scandalo e bersaglio di vignettisti dell’ultima ora. Ovviamente il tutto sotto la cometa della popolarità, con tanto di risate più o meno sarcastiche e tanto rumore mediatico.

La bella autorità ha ricevuto l’istanza direttamente dall’attore, rappresentato dalla sua avvocatessa di fiducia e – curiosamente – ex suocera, Annamaria Bernardini De Pace. Inutile dire che l’avvertimento è chiaro e netto: chiunque pensi di diffondere ulteriormente quei contenuti rischia guai seri, inclusi provvedimenti sanzionatori. Ma si sa, la parola “privacy” spesso sembra un optional quando il gossip è troppo succoso.

La trama si infittisce: tutto è cominciato circa due settimane fa, quando un anonimo con il gusto del mistero ha avvisato Bova che alcune sue conversazioni private con l’influencer Ceretti erano in procinto di diventare patrimonio pubblico. Evidentemente l’attore non ha deciso di farsi intimidire, ma pochi giorni dopo, il 21 luglio, il danno era fatto e tutto è saltato allo scoperto nel podcast “Falsissimo”, ospitato dall’ex re dei paparazzi Fabrizio Corona.

Le indagini sono saldamente nelle mani del pubblico ministero Eliana Dolce, che sta già lavorando a un fascicolo aperto contro ignoti – perché, si sa, quando si tratta di privacy violata, l’anonimato è garantito più del diritto stesso alla riservatezza. Il numero da cui è partito il presunto tentativo di ricatto risulta intestato a uno di quei famosi “prestanome” di cui si sente tanto parlare ma si vede poco.

Ah, e giusto per non farsi mancare nulla, Fabrizio Corona, con piedistallo di condanne alle spalle per estorsione, non risulta indagato, almeno per ora. La procura sta anche valutando la pista della ricettazione, ossia se chi ha diffuso quei contenuti fosse consapevole della loro provenienza illecita. Insomma, reato c’è, ma trovarne i colpevoli sembra una caccia al tesoro senza mappa.

Morale della favola? Tra riservatezza violata, ribalta mediatica e game of shadows giudiziari, la privacy appare sempre meno un diritto e sempre più un’opzione da sfoggiare quando fa comodo, come se tutto fosse un grande spettacolo a cui tutti hanno prenotato un biglietto, volenti o nolenti.

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