25 Aprile: Mattarella e i suoi ordini grintosi ai repubblichini, con un occhio alla crisi ucraina — ridicolo o inquietante?

25 Aprile: Mattarella e i suoi ordini grintosi ai repubblichini, con un occhio alla crisi ucraina — ridicolo o inquietante?

Perché non iniziare con una bella chiacchierata sul capo dello Stato che, dal suggestivo palcoscenico di Genova, ha esordito con uno dei suoi tratti caratteristici? Parliamo della presunta egemonia comunista in mezzo ai partigiani. Non ci crederesti, ma è così, perché evidentemente i partigiani non erano solo comunisti, ma c’erano anche socialisti, democristiani, liberali e persino mazziniani. Approfittiamo di questo bellissimo confetto storico per dimenticare che, nei peggiori momenti del Novecento, i fascisti sognavano ardentemente «la bella morte», mentre impartivano ordini ai loro epigoni repubblichini. Che figura! Ma chi non ama un po’ di nostalgia per il passato?

Questa epica perversa attrasse, ovviamente, un gran numero di giovani. Non si può certo dire che il regime non fosse riuscito a rendere la guerra ‘una condizione normale’. Non era più «la guerra per la vita», ma piuttosto «la vita per la guerra». D’altra parte, la differenza fondamentale tra questi signori e i partigiani, anzi, i veri patrioti, è che la Resistenza ambiva alla pace, mentre i fascisti bramavano la morte. Già, cercate di non perdervi questo dettaglio nel grande racconto della storia che si riporta nel discorso di Mattarella sul 25 Aprile.

Il nostro amato Presidente, infatti, non ha lesinato nel sottolineare che gli eventi attuali, dall’Ucraina al Medio Oriente, risuonano con un clima nichilista molto simile a quello degli anni Quaranta. Potreste quasi pensare che stiamo assistendo a un’eclissi della civiltà, ma state tranquilli, quel “quasi” suggerisce una timida speranza che, come ottant’anni fa, la solidarietà mondiale torni a farsi sentire e superi i fantomatici retaggi del passato. A proposito, interessante notare come il presidente ricordi il partigiano Fëdor Poletaev, un russo combattente per la libertà in Italia, decorato con medaglia d’oro. Ah, il contributo di Mosca nella Seconda guerra mondiale è il solo punto di polemica che gli è concesso, e guai a scatenare il suo disappunto, anche se lo fa con una certa classe.

E mentre si muove in questo campo minato di stereotipi, il nostro Presidente sfida, con grande aplomb, quei negazionisti che tentano di sminuire la Resistenza. Non un colpo di voce di troppo, ma un’affermazione astuta per sputtanare le loro argomentazioni. Perché dico, chi ha mai detto che quindi i partigiani erano un gruppo di delinquenti violenti? Anzi, le loro brigate si sono battute con grande fermezza e determinazione, forti del supporto di un intero popolo.

Quindi, possiamo affermare con sicurezza che la libertà non è mai stata un regalo. No, sparecchiamo l’idea romantica: è stata una conquista, giusto? Lasciamo cadere i sogni di libertà spicciola per avventurarci in questa ricca e contraddittoria narrazione. È affascinante come la storia possa essere reinterpretata, in un eccellente gioco di prestigio dove se non è il passato a perseguitarci, è sicuramente la retorica di chi lo racconta.

In un mondo dove le «lezioni di moralità» sembrano essere diventate il pane quotidiano, ci troviamo a riflettere su come certi comportamenti siano perfettamente allineati a un codice di condotta. Un esempio lampante è il processo di beatificazione del comandante Bisagno, orchestrato dalla curia di Genova. Perché chi ha il potere di definire la moralità, evidentemente, non ha mai peccato, giusto?

Parlando di crescita politica, ci viene somministrata la retorica dei patrioti imbattibili, quelli che, nei territori liberati e nelle fabbriche, hanno trasformato il proletariato in ferventi seguaci della «democrazia». Già, perché chi ha il merito di cambiare il mondo può tranquillamente ignorare le contraddizioni che annidano fra le pieghe della storia. Come dimenticare gli eroi antifascisti, con i loro ideali visionari, sepolti a Ventotene? Un posto che è diventato il simbolo della resistenza, perfetto per ricordarci che il passato è solo un trampolino per una retorica ipocrita.

Ma, ovviamente, non può mancare un richiamo all’autorevole figura di papa Francesco, che ci invita a non accontentarci di quanto abbiamo già ottenuto. E chi meglio di lui per battere il tamburo della Resistenza? Si potrebbe probabilmente sostituire l’idea di celebrare la libertà con quella di non adagiarsi sugli allori, onde evitare che gli scranni del potere si popolino di comode poltrone anziché di valori solidi.

In fondo, il messaggio che ci arriva è chiaro come il vino novello: «Ora e sempre Resistenza». Una frase tanto evocativa quanto priva di contenuto, perfetta per un’opera di facciata che ci fa sentire nobili e impegnati, mentre invece basta una rapida occhiata ai fatti per comprendere quanto distanti siano le parole dalla realtà.

Ma non è sempre così? In un contesto in cui i personaggi pubblici si sforzano di mostrarci un’immagine di virtù e senso etico, l’ironia è forse l’unico scudo rimasto per non affondare in un mare di contraddizioni. Del resto, se è la Resistenza a definire il nostro ieri, perché non ricoprire il nostro oggi con la stessa vernice lucida che nasconde le crepe della nostra società?

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